mercoledì 8 aprile 2020

Ed era come un mal di Bosnia #1

Prima parte

Al tramonto, il muezzin ci ha sorprese sulla Sava che tiene insieme i Balcani in orizzontale prima di arrivare a mescolarsi con il Danubio. La Sava, confine naturale, burocratico, delirante, tra Croazia e Bosnia Erzegovina. Tra l’Unione Europea, seppure lì ancora a ‘statuto speciale’, e un luogo localizzato con incertezza sulla nostra mappa mentale del Continente. Abbiamo attraversato il ponte sul fiume, intercapedine / spazio franco / lingua di congiunzione, e il richiamo serale alla preghiera ci ha avvisate che un mondo diverso ci si stava facendo incontro. Ignare che la profondità balcanica aveva appena iniziato a rimodellarci.
Un viaggio quasi alla cieca, quasi improvvisato, senza il tempo sufficiente per inserire in un contesto più preciso cose sparse come: la guerra degli anni ’90, gli Ottomani, Gavrilo Princip e Franz Ferdinand, Bregović e Kusturica (nel frattempo naturalizzato serbo, perciò no, Kusturica va espunto dall’elenco), la Jugoslavia e la fine del Comunismo, i bosniaci.
Nessuna guida verde Touring in soccorso: della Bosnia Erzegovina, semplicemente, non esiste. «Tra tutti i paesi dei Balcani, è il meno turistico», mi spiega l’omino Touring del punto Touring in piazza Santi Apostoli a Roma, la miniera dalla quale normalmente attingo prima di partire. Ripiego allora sull’unica documentazione possibile, un volumetto tascabile, ma non leggero, di carta lucida con pagine fitte di un carattere tipografico minuscolo: Marco Vertovec, Sarajevo e la Bosnia Erzegovina, anno 2019. Lo sfoglio un poco per coglierne il grado di affidabilità; leggo qua e là, noto che è pieno di dettagli, di minuziose proposte di itinerario, di cartine e di piccole mappe. Lo prendo, insieme all’immancabile gigantesca carta stradale, ché noi siamo veteroviaggiatrici e googlemap è solo per i momenti di sperdimento (non potevo saperlo, ma stavolta il navigatore informatico sarebbe stato di grande aiuto al navigatore umano, cioè io nel ruolo che mi è consueto in queste occasioni).

Informazioni utili e usanze gastronomiche, le prime letture appena apro la guida di un paese o di una città che non conosco.
Informazioni utili (cito a memoria, qui e oltre): «Se pensate di addentrarvi in uno degli innumerevoli e suggestivi percorsi che caratterizzano le colline di Sarajevo, fatevi accompagnare da qualcuno che conosce bene i luoghi. Il territorio non è ancora del tutto bonificato dalle mine». Va bene, forse ho letto male, riprendo il periodo daccapo. «Se pensate di addentrarvi … mine». Ah.
Tea, di spalle
Continuo a leggere: «La Bosnia Erzegovina è da tempo afflitta dal problema dei cani randagi; le autorità stanno tentando di porvi rimedio, ma le difficoltà sono ancora molte. Muovetevi perciò con cautela in caso di incontri ravvicinati del terzo tipo e siate ancora più prudenti se avete un cane con voi». E con noi, per la prima volta nella storia della nostra famiglia, un cane in effetti c’è. Bene.
Proseguo: «Rispetto agli standard ai quali siamo generalmente abituati, in Bosnia Erzegovina cani e luoghi pubblici vivono un rapporto molto dialettico. Ricordatevi sempre di chiedere se il cane può fare con voi ciò che voi vi accingete a fare». Già, penso, per l’Islam i cani sono animali impuri – benché permangano controversie interpretative al riguardo – e la Bosnia Erzegovina è un paese a maggioranza musulmana.
Aggiungo all’elenco delle ‘cose senza coordinate’: mine, cani randagi, pet-friendly con moderazione, Islam.
Sulle usanze enogastronomiche per ora soprassiedo, ma posso senz’altro affermare che, al pari della turca, la cucina bosniaca è tra le migliori e più commoventi del nostro Continente (almeno tra quelle che ho avuto occasione di assaggiare).

Abbiamo tagliato il paese in verticale, prima verso sud poi verso nord per due diverse direttrici, su impeccabili autostrade e strade statali (lo ammetto, ne sono rimasta sorpresa). I fiumi che reticolano quelle terre ci hanno sempre segnalato il percorso, infuocato dall’autunno. In alcuni momenti, abbiamo constatato divertite che tutto ci sembrava Umbria; ma i cimiteri, diffusi ovunque, ci ricordavano di continuo che eravamo in un diverso centro geografico.
Tre donne e una cagnetta on the road, e le soste tecniche divengono subito epica. La scelta casuale dettata dalla necessità ci ha portato in locali di dubbia frequentazione, tutta maschile, tutta alcolica, tutta densa di fumo, tutta composta, in un’aria spesso satura di musica techno-balcanica sparata a volumi indicibili. La qual cosa si è rivelata un vantaggio: voce e orecchie diventano inutili perciò l’assenza di una lingua in comune non è più un problema, i gesti rimangono l’unica via di comunicazione praticabile.
Jajce
Il copione era questo: io, Senior, andavo in avanscoperta, Junior teneva Tea, Seniorsenior attendeva il cenno ‘si può fare’. Aprivo la porta, sorridevo, entravo con cautela nel tentativo di cogliere l’insieme del panorama. Sospensione di perplessità al mio ingresso, teste ruotate, archi sopraccigliari aggrottati e occhi stretti tra le palpebre, sguardi da saloon, gesticolavo «abbiamo bisogno di un bagno + c’è un cane con noi», ancora sospensione. Quindi iniziava la fase di reciprocità nella comunicazione, con braccia e dita mosse all’indirizzo della toilette. Si può fare. Commiato: il Mediterraneo incontra l’Entroterra. Il nostro festival labiale di hvala hvala (grazie grazie) tra mezzi inchini e diversi sorrisi trovava in risposta lievi cenni del capo e un’aspirata di sigaretta. Ospitalità discreta, gratuita, con sapone-carta igienica-fazzoletti per asciugarsi le mani sempre al posto giusto e ogni volta, immancabilmente, fare i conti con il proprio pregiudizio, ché siccome si è nel nulla nel mezzo della Bosnia si pensa che le toilette debbano essere borderline come quelle nostrane.    

[qui trovi la seconda parte, la terza e la quarta]

Post e foto di Eva Ponzi

Zagabria – Jajce – Sarajevo (e ritorno) in automobile, viaggio per tre donne e un cane (Tea)
Senza l’insistenza e l’entusiasmo di Junior chissà quando lo avremmo fatto

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