Gli alieni sono fra noi. Se state pensando all’avvio di un tipico romanzo di fantascienza, devo subito avvisarvi che siete fuori strada. L’invasione infatti è già avvenuta e in maniera massiccia, ma quasi nessuno se ne è accorto, e quei pochi che ne erano a conoscenza hanno saputo integrare gli extraterrestri negli ingranaggi della nostra società in ossequio al più assurdo consumismo. Il meccanismo è decisamente curioso e costituisce una delle molte chiavi che tengono tesa l’imprevedibile trama sviluppata da Alessandro Pozzetti.
Qualsiasi definizione di genere rischia di essere sminuente per Auro Ponchielli contro la fine del mondo, perché in effetti molti sono i generi mescolati fra loro, e nessuno di essi alla fine prevale sugli altri, ciascuno ha il suo spazio. Auro, pubblicitario con una certa qual verve, ha sempre vissuto a quota periscopio, senza grandi infamie e senza grandi lodi, osando meno di quel che forse potrebbe, con un profilo basso che non gli ha reso giustizia. Qualcosa tuttavia, lo si intuisce fin dalle prime pagine, si sta muovendo all’orizzonte, anzi sopra, molto sopra l’orizzonte. Nonostante il tono ironico, ecco dunque il racconto di formazione, e in effetti il nostro Auro vivrà pagina dopo pagina una trasformazione, una presa di coscienza che lo traghetterà verso un nuovo modo d’essere. Questa presa di coscienza avrà la forma di un vero e proprio impossessamento: uno spirito entrerà dentro Auro per guidarlo nel cammino, e non uno spirito qualunque, certo che no, sarà addirittura Clint Eastwood ad apparirgli un mattino riflesso nello specchio del bagno: lo sguardo a fessura, le labbra sottili pronte a distribuire massime intrise di saggezza.
A guidare il manipolo di uomini che, senza volerlo, si troverà a dover fronteggiare un’apocalisse acquatica, ci sarà anche Miki Zanetti, in arte Zanna, dj e scrittore che ci rimanda ad alcuni presenzialisti che infestano i nostri palinsesti televisivi. Zanna però è uno che ci sa davvero fare, e il suo Nonne che corrono con i lupi ha venduto oltre 400.000 copie, consentendogli di diventare l’uomo con maggiori probabilità di intrattenersi quotidianamente in rapporti sessuali completi con perfette sconosciute (percentuale attorno al 93,4% secondo uno studio del prof. Ringer dell’Università di Tubinga). In certe condizioni diventa facile eccedere nell’autostima, «sono in sintonia col cosmo. Sono in unione con ogni molecola dell’universo. Pervado la realtà delle cose» afferma Zanna (p. 73), senza sapere quanto premonitrici siano le sue parole; anche per lui infatti il destino ha previsto un nuovo livello di coscienza, stavolta in diretto rapporto con le menti aliene.
L’aspetto ironico, a tratti grottesco, non abbandona mai la narrazione, complici gli altri personaggi, eccentrici di per sé e in più coinvolti in situazioni assurde. Incontriamo allora una scimmia – anzi pardon, uno scimpanzé – dalla spiccata intelligenza e tanto loquace quanto manesco; la governante di Zanna, Teresa, una vecchina dall’aria innocua ma in realtà decisamente battagliera nel suo ruolo di Mata Hari meneghina; Marzia, la fidanzata di Auro, che suo malgrado si trova ad essere centro catalizzatore di una serie di eventi imprevisti con conseguenze altrettanto impreviste sui suoi capezzoli; un irresistibile nerd conosciuto con il nome di Padrepio che viene in possesso di un telecomando a forma di pinguino dal potere davvero spropositato; Luis Ferro, il capo, nonché cognato, di Auro, despota dai gusti sessuali alquanto stravaganti che subirà un meritato contrappasso; e così via, in una carrellata davvero pittoresca.
Bisogna riconoscere ad Alessandro Pozzetti il merito d’essere riuscito a distillare, in un’unica storia, personaggi e situazioni pescate da ambiti lontani anni luce gli uni dagli altri, combinando tutto in una struttura coerente, per nulla sgangherata, anzi quasi classica nel suo svilupparsi, benché affidata ad un gruppo di protagonisti che sono appunto una delle compagnie più strampalate che mi è capitato di trovare stipata in un romanzo. A fare da substrato, un immaginario che trae spunto da quella variopinta fucina sotto culturale che sono stati gli anni ’80-‘90, con riferimenti e citazioni che nonostante tutto continuano a far ridere, a maggior ragione se riproposti in modi e momenti del tutto inattesi. E poi, diciamola tutta, chi non si sentirebbe più al sicuro sapendo d’avere come guardia del corpo Bud Spencer? Pozzetti pesca dunque da un bacino ampio, e lo fa con garbo, senza perdere il suo stile e senza eccedere; riprende alcuni cliché, ma li sa rovesciare e sa servirsene a suo specifico vantaggio.
Una vicenda corale a cui forse poteva essere dato più respiro, c’erano ampi spazi oltre lo Spazio che giustamente raccoglie le scene finali, ma il destino del mondo si gioca in fondo fra due salotti. Paradossalmente la vicenda, che pur coinvolge il mondo intero, evolve attraverso scene di interni, dialoghi molto articolati e direi teatrali nella loro impostazione, ben condotti, ma che capita facciano perdere il ricordo di quanto sta accadendo in quell’istante nel resto della Terra. A volte il mondo rimane sullo sfondo, come un televisore dimenticato acceso in un angolo della cucina durante un litigio in famiglia. Quasi che si fosse spaventato della gigantesca macchina che ha saputo mettere in moto, Alessandro Pozzetti tiene insomma un po’ il piede sul freno, eppure ciò non è detto sia per forza un male. Alla fine infatti gli consente di puntare sempre le luci sui suoi strampalati personaggi, attori ai quali non si può fare a meno di affezionarsi e con cui ci si diverte con leggerezza, scordando che fuori dalla finestra si sta appropinquando l’apocalisse.
Alessandro Pozzetti, Auro Ponchielli contro la fine del mondo, Milano, NNE, 2015.
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