Per chi sta sfruttando l'estate allo scopo di concludere la stesura del suo primo romanzo, qualche arguta osservazione in merito al difficile mondo dell'editoria, con quel giusto grado di leggerezza che sarebbe piaciuto ad Achille Campanile.
Se come me siete degli scrittori esordienti, mi capirete al volo quando dico che questo mondo si compone di scelte e di rinunce. Quando hai la fortuna di ricevere più offerte di pubblicazione, e le metti tutte sul tavolo per compiere la tua scelta, consideri assolutamente ovvio e privo di dramma il fatto che nessuna di queste, presa singolarmente, combinerà tutte le condizioni necessarie per un progetto editoriale serio. Alcune ti offrono una buona tiratura, ma ammettono di non poter garantire la promozione dell’opera («lei, di suo, come se la cava con internet? Ce l’ha un megafono?»); altre garantiscono una rilegatura decente, ma anticipano che il loro distributore non esce dal territorio regionale (e stiamo parlando del Molise); alcune garantiscono royalties superiori al 6%, ma spiegano che per farlo devono vendere il tuo libro a € 48,00 più IVA («ma non si preoccupi, abbiamo già identificato una fascia di mercato rappresentata da Marcello Dell’Utri»); altre dicono che sono in grado di curare rilegatura, tiratura e promozione, ma che per scelta politica non hanno un contratto con un distributore, dunque possono vendere il libro solo a chi va da loro a prenderlo (insieme alla ricotta affumicata che, su prenotazione, fanno nella stessa malga). Così devi scegliere tra più rinunce, valutando quale comprometterà meno la tua performance nel torneo di calcio saponato degli Scrittori Esordienti.
È un gioco di equilibri talmente delicato che a volte, pur di poter decidere con maggiore leggerezza, ti trovi a cercare il peggio, il punto debole così debole da tagliare la testa al toro, donandoti un criterio con cui escludere tutte quelle opzioni una dopo l’altra, fino a trovarti con una sola carta in mano e valutare che, sì!, quella è la migliore (d’altronde sei persuaso che per conquistare la Nazione si debba pur cominciare da una regione, e che il Molise, letterariamente parlando, sia l’avanguardia d’Italia).
Ebbene, vorrei descrivere il cruccio in cui mi trovo da quando ho ricevuto la proposta di pubblicazione da parte di una casa editrice che mescola i pro e i contro in maniera così sottile da impedirmi una valutazione distaccata delle sue potenzialità. Il problema non riguarda le garanzie contrattuali – ma, anzi, proprio questo è il punto: che stiamo parlando di una casa editrice che, per la prima volta da sempre, e riuscendo quasi a commuovermi, mi offre tutte le condizioni editoriali per spiccare il volo, ma che tuttavia mi lascia un po’ perplesso a causa di un aspetto probabilmente frivolo, rappresentato dal fatto che tale casa editrice abbia un nome spiacevole (non credo sia determinante, ma per dover di cronaca lo preciso: si chiama «Il Culo Edizioni»).
Ora, io spero sinceramente che possiate mettervi nei miei panni e non balzare subito alla conclusione che io sia uno di quei tipi con la puzza sotto il naso, o, peggio!, un superficiale. Vi posso garantire che sono assolutamente conscio della fortuna che mi è capitata e che un nome spiacevole non compromette la sostanza, seria e professionale, di quello che mi viene offerto. Dopo che mi sono documentato, non posso negare che, in questo senso, Il Culo Edizioni è veramente una buona casa editrice. Sono inoltre certo che rappresenterebbe il salto di qualità nella mia carriera di scrittore, inserendomi negli ambienti giusti, offrendomi una buona visibilità e garantendomi degli interlocutori con cui crescere. Tuttavia, mi risulta egualmente difficile abituarmi alla sgradevolezza del suo nome.
Ho provato a rompere questo indugio concentrandomi sul futuro. Ho immaginato me a cinquant’anni, rancoroso e frustrato, che pubblico le mie storie su libri che si sfaldano ancora prima di essere venduti, con copertine disegnate con paint su una tiratura di venticinque copie; ho pensato a mia moglie che cerca di essere comprensiva, ma che nel frattempo cova dentro di sé una rabbia di ruggine per come sono stato frivolo, oscenamente stupido, a buttare via la mia carriera perché mi sono fossilizzato su un nome. Così ho concluso che sarebbe davvero stupido rinunciare a una pubblicazione con Il Culo Edizioni. D’altro canto mi sono immaginato da Fabio Fazio, a rispondere alle sue domande parlando di Paul Auster e delle Lezioni Americane di Calvino, immerso negli applausi del pubblico che sanciscono il mio ruolo di scrittore, e quando ho immaginato Fabio Fazio che conclude l’intervista alzando verso la macchina il mio romanzo – scintillante, bellissimo, con una rilegatura in oro! – e annuncia: «Elia Rossi! Tra le ali di un angelo! Il Culo Edizioni!», ecco, devo confessare che ho trovato quel nome davvero sgradevole, e che mi sono trovato punto e a capo nel mio dilemma.
Ho provato a scandagliare tutti i caratteri di questa casa editrice, nella speranza di trovarne uno – uno solo! – abbastanza negativo da far pendere in modo definitivo la bilancia. Ma niente. Stando a voci sicure, Il Culo Edizioni si occupa con grande cura di tutto il processo editoriale: dall’editing, alla distribuzione; dalla promozione, al contatto con le riviste letterarie, con gli atenei e con i circoli di scrittori. Per puro caso, ho persino scoperto che hanno una collana di filologia rinascimentale ritenuta un faro per tutti gli esperti del settore e che molti luminari hanno ammesso che, oggi, non si saprebbe quasi nulla dei manoscritti clandestini di Chatouclou senza le eleganti ristampe de Il Culo Edizioni.
Insomma, è una situazione che mi lascia piuttosto perplesso e spero di non prendere decisioni avventate. Ne va della mia carriera, da un lato, e della mia credibilità, dall’altro. Mi confonde molto, e mi getta in un abisso di sensazioni contraddittorie, la fantasia di me che passeggio per strada e che vengo fermato da un vecchio conoscente che mi dice:
«Cavolo, ma ho sentito che questa volta hai sfondato! Mi hanno detto che ieri parlavano del tuo libro su RadioDue. Senti, ma, con chi è che hai pubblicato?».
«Con Il Culo Edizioni».
«L‘ho già sentita».
E poi c’è l’altro aspetto – probabilmente quello che mi smarrisce di più. Mi riferisco al fatto che la mia opera in questione, ovvero Tra le ali di un angelo, sia, nella fattispecie, un libro per bambini. È una storia briosa ma edificante, che racconta con grande discrezione le peripezie di un topolino che perde la propria madre e che la ritrova dopo un periglioso viaggio in un bosco incantato; una storia pensata per la fascia d’età della prima elementare, quella dei bambini che leggono ad alta voce, pronunciando le sillabe mentre le seguono col ditino. Vi prego un’altra volta di non essere precipitosi nel giudicarmi culturalmente schizzinoso. Voglio solo dire che trovo spiacevole l’idea che dei bambini di prima elementare abbiano fra le mani quel mio libro – scintillante, bellissimo, con una rilegatura in oro! – e che sotto al loro nasino ci siano le scritte: E-li-a Ros-si, Tra le a-li di un an-ge-lo e Il Cu-lo Edi-zio-ni.
Così, questa mattina, dopo molti giorni in cui leggevo e rileggevo quel contratto senza venire a capo di una decisione, ma anzi impastoiandomi sempre di più nel gioco infinito dei tuttavia e dei però, ho deciso di telefonare alla redazione de Il Culo Edizioni. La mia speranza era che il numero fosse inesistente, o che la centralinista mi rispondesse dalla Moldavia figendo un amplesso, così che io trovassi finalmente il granello negativo capace di far precipitare il gioco. Ho sentito una musica di Brahms e una voce registrata che diceva:
«Risponde la segreteria telefonica de Il Culo Edizioni. Lasciate un messaggio e verrete richiamati non appena uno dei nostri telefonisti sarà disponibile».
Ho sparato grosso e ho detto che volevo parlare col Direttore, così da concludere che erano inaffidabili se non mi avessero ritelefonato entro una settimana. Dopo neanche cinque minuti il mio telefono è suonato:
«Dottor Rossi?».
«Sì?».
«Sono Attilio Robellotti della Loggia. Direttore de Il Culo Edizioni».
E io ho dovuto riconoscere che, anche sul piano della comunicazione, Il Culo Edizioni è assolutamente professionale. Ho pensato che non fosse il caso di menare il can per l’aia e ho parlato in modo assolutamente sincero al dottor Robellotti della Loggia.
«Non vorrei davvero essere indiscreto, ma le posso fare una domanda?».
«Mi dica dottor Rossi».
«Le posso chiedere il perché di questo nome?».
«Il Culo Edizioni?».
«Esatto…».
«In che senso?».
«Perché avete deciso di chiamarvi così…».
«Così nel senso di Il Culo Edizioni?».
«Ecco… sì…».
«Che domande! Suppongo perché siamo una casa editrice. Se ci fossimo occupati di altro, avremmo potuto chiamarci, non so, Il Culo Onoranze Funebri, non trova?».
«Tuttavia, visto che è così gentile, mi piacerebbe sapere anche il perché dell’altro nome…».
«Il Culo?».
«Ecco… sì…».
«Ah. Per quello non c’è una ragione precisa. Ci saremmo potuti chiamare anche Asdrubale Edizioni, o Asclepio Edizioni. Ma siccome non ci piaceva né Asdrubale, né Asclepio e un nome andava scelto, abbiamo optato per Il Culo. È un nome come un altro».
«Ma siete nati come casa editrice umoristica?».
«Assolutamente no. Noi non crediamo nell’umorismo. L’umorismo è stupido. Non interessa vendere libri stupidi, a noi de Il Culo Edizioni».
Insomma, è andata a finire che il mio cruccio non si è dissolto e a me non resta che lambiccarmi fino allo scervellamento, in questo stallo di pro e di contro che mi logora fino a sfinirmi e che vede il mio tempo sfumare come polvere, tempo che potrei usare per scrivere, per pubblicare, per promuovere – per costruirmi una carriera di scrittore, insomma; e che invece uso per maledire il dannato sapore delle parole, che a volte è capace di far precipitare gli uccelli, altre di far volare i maiali.
(Post di Elia Rossi - tratto dal blog personale)