La vita è fatta di silenzi e da infiniti piccoli rumori di fondo. Questo ha ispirato Chris Ware mentre faticava sulle tavole illustrate, e partendo da quel pensiero è andato costruendo un’opera a suo modo monumentale. Ma un monumento di silenzio, in che modo lo si potrebbe rappresentare? Lo immagino come gli spazi vuoti di una esposizione universale, molti giorni prima dell’inaugurazione. Un’esposizione di metà Novecento, con grandi architetture di marmo, obelischi, colonne, cupole rivestite di rame, bandiere sui tetti, e spazi immensi, persino una piscina dalle dimensioni tali da poterci rappresentare una battaglia di navi simile a quella che i romani antichi facevano allagando piazza Navona. Jimmy Corrigan, il protagonista, quando suo padre lo accompagna a visitarla, ne parla come della «impresa più grande dell’umanità» (citazione circa a metà del libro, le pagine non sono numerate). Ci si può davvero perdere in uno spazio così sconfinato e pieno di niente. E Jimmy Corrigan è spesso perduto, incapace di muovere un passo in qualsiasi direzione, proprio lui, il ragazzo più in gamba sulla terra, che il suo creatore deride ripetendo l’appellativo a mo’ di ironico ritornello. E mentre ci sfugge quel mezzo sorriso, ci viene pure il dubbio che ad essere preso in giro non sia solo il povero Jimmy. Se proviamo a svelare la metafora, quell’enorme spazio espositivo, quella grande promessa architettonica di meraviglie che però nessuno ancora vede, non rassomiglia forse alla vita di ciascuno di noi? Non è che forse noi stessi vogliamo a volte convincerci che, tutto sommato, siamo fra i ragazzi più in gamba sulla terra? Non è che questa rassicurante storiella ce la raccontiamo di tanto in tanto?
Quello che fa Chris Ware è prendere l’intera vita di un uomo e farla a fette, mandando all’aria la classica e rassicurante sequenza cronologica. La ricostruzione degli eventi avviene così nello stesso modo in cui si compone un puzzle, pezzo dopo pezzo, ma senza che alla fine l’immagine che ci troviamo di fronte comunichi realmente qualcosa. Sarebbe sbagliato correre verso la fine pensando che la risposta, il senso, saranno lì. Bisogna invece gustare i momenti, i silenzi, le vignette minime, le differenze impercettibili, e appunto i piccoli rumori di fondo. Le ritmiche onomatopee che punteggiano tutte le 380 pagine come fossero un morbillo. Sospiri, colpi di tosse, ansimi, singulti, i personaggi parlano poco, eppure non tacciano mai, producono rumori di fondo che sono la vita nella sua solitaria essenza. Se il nostro corpo è una macchina, quei suoni che Jimmy Corrigan sente di continuo ripetersi attorno a sé, sono i cigolii e gli sbuffi della nostra macchina che procede con fatica sulla strada inevitabilmente in salita. Non riesce purtroppo a correre spedita questa benedetta macchina, sbanda di continuo, ha problemi di convergenza, è tristemente frenata dai rimpianti e dai rimorsi. Jimmy fa collezione di rimpianti, quante cose dovrebbe aver fatto! Almeno così ci sembra, anche se non sappiamo mai bene quali dovrebbero essere queste cose. Ai rimpianti mette a servizio un’immaginazione un po’ piatta, ma sempre in moto, incessante nell’inseguire sogni di donne amate, di lavori migliori, di genitori affettuosi.
Un volume controverso a cui non manca l’autoironia. «Stampa abbindolata con niente» si intitola infatti la rassegna di commenti che l’edizione italiana colloca in apertura, alternando i giudizi più disparati – ma per la gran parte largamente positivi – fra cui quello del Madison Daily Cardinal: «La trama, i personaggi, il tratto, il suo collocarsi tra pensiero e realtà sono l’opera di un genio sommesso, complesso». Il carattere peculiare della graphic novel di Ware si esprime variamente, in primis nella sua forma ad album (in fondo come un vecchio raccoglitore di foto) e nelle tante vignette che compongono anche una sola pagina, in una sequenza non sempre evidente. Ma quando mai la vita procede in maniera ordinata? Un ragionamento simile si potrebbe fare in riferimento ai colori, che giocano per lo più su sfumature autunnali, «i colori sono terribili, sembra di guardare una confezione di detersivo. Colori pallidi da morire, ripugnanti» disse il poeta Tom Paulin durante un BBC Newsnight, ma quando mai la vita si srotola su colori vivaci e sgargianti? Altrimenti il nostro Corrigan non sarebbe più l’immagine del nostro sopravvivere, dell’eterna altalena di rimpianti e rimorsi, del niente che ci accompagna e fatalmente abbindola la Stampa.
A me ha fatto lo stesso effetto di certi cibi inconsueti, quasi sgradevoli. Tipo le patatine al lime. Lentamente il palato mi si è assuefatto al gusto, e mi sono reso conto che non avrei più smesso di pescare dal sacchetto fino al momento in cui l’avrei trovato vuoto. Con Jimmy Corrigan è stato così: all’inizio mi sfuggiva il senso, mi lasciava perplesso, eppure il desiderio di proseguire la lettura attraverso quei 3072 disegni e quelle 47339 parole cresceva irresistibilmente. E mi è spiaciuto molto quando ho scoperto che il sacchetto era vuoto. Con quel niente avrei potuto andare avanti per tutta la vita.
Chris Ware, Jimmy Corrigan. Il ragazzo più in gamba sulla Terra, Milano, Mondadori, 2009.
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