Ho un metodo infallibile per
stupire il mio interlocutore. Dirgli, senza mentire, che non possiedo un’automobile. Ho trovato il modo di farne a meno, mi muovo con altri mezzi,
improvviso, sta di fatto che, nel bel mezzo di qualunque conversazione con
persone recentemente conosciute, cerco sempre di infilarci questa informazione
che fa davvero effetto, ed è pure un po’ snob, lo ammetto, ma abbiamo tutti le
nostre debolezze. Il punto è però un altro: pensare ad una vita senza
automobile è per molti davvero straniante. Facciamo fatica ad immaginarci privi
di quella appendice meccanica perché le automobili sono divenute elemento
costante e consueto del quotidiano, e ci stupiscono solo quando non ci sono (il
fascino di Venezia è anche il fascino di una città senza automobili).
Gli attori di teatro conservano
un’espressione che è eredità di un mondo antico. Prima dello spettacolo, per
augurarsi il successo, si dicono a vicenda: “merda, merda, merda!”. Lo dicono
ancora oggi, benché non abbia più molto senso, dato che l’escremento in
questione era quello prodotto dai cavalli che conducevano le carrozze dei
signori a teatro, e tanta merda voleva dire tanti cavalli, tante carrozze,
tanti spettatori. Poco più di cent’anni fa le strade erano ancora territorio
dei cavalli, e l’inquinamento era la puzza del loro sterco, fastidioso ma più
sano, e i parcheggi brulicavano di mosche. Poi le cose cambiarono, il mezzo
meccanico arrivò ad affascinare tutti e fece piazza pulita, anche fuor di
metafora. Dopo la Grande Guerra – che oltre ad essere la prima guerra mondiale,
fu la prima guerra di automezzi – il destino del cavallo quale mezzo usuale di
trasporto apparve segnato. Ma la storia era iniziata ben prima, già alla fine
dell’800.
Con l’accordo siglato a Vero Beach
in Florida poco prima di capodanno, grazie al quale ha acquisito il controllo
di Chrysler, la Fiat si è guadagnata una visibilità internazionale mai avuta
prima. L’azienda, che nel 2004 era sull’orlo della bancarotta, oggi è la
settima casa automobilistica nel mondo. Siamo al coronamento di una vicenda
industriale longeva e gloriosa, l’ultima conquista di un marchio che è fra gli
ambasciatori del made in Italy e
dovrebbe rappresentarne il lato migliore. Ma a incombere sulla sua origine, c’è
un mistero tragico che si dipanò proprio nel momento in cui avveniva il
passaggio del testimone: quando l’automobile uccise la cavalleria.
È curioso che la vicenda
romanzata da Giorgio Caponetti abbia come perno principale un personaggio che
incarnò in sé entrambi i mondi. Emanuele Cacherano di Bricherasio è un nobile
piemontese, ufficiale di cavalleria, amico fraterno di Federigo Caprilli forse
l’ultimo campione di equitazione ad essere accolto in società come una star.
Bricherasio nasce dunque aristocraticamente issato a cavallo, eppure ha idee
progressiste, è affascinato dai progetti di sviluppo industriale e coltiva il
sogno di fondare una casa automobilistica. Ci riesce nel 1899: nel suo palazzo
torinese nasce la Fiat. Ma sulle strade attorno alla città sabauda un altro ex
ufficiale di cavalleria si dimostra preda del fascino della velocità, è
Giovanni Agnelli che gongola per i premi conquistati in gara. Torino in quel
periodo è un gran fermento, e il romanzo è anche uno spassionato atto d’amore
verso la città; le sue tradizioni e le sue atmosfere sono messe in scena con
meticolosa devozione.
Bricherasio e Agnelli sono
destinati ad incrociarsi, e alla fine a scontrarsi: troppo lontane le
concezioni industriali, troppo diversi l’estrazione sociale e il retroterra culturale.
Bricherasio ha la nobiltà del gesto, un gusto romantico dell’impresa; Agnelli è
pragmatico, ansioso di raggiungere gli obiettivi, assolutamente privo di
cavalleria (volendo giocare con le parole). Le due storie sono raccontate in
parallelo, partendo da molto lontano e intrecciandole con altre, così Caponetti
gestisce e dispiega una gran mole di informazioni, frutto di attente ricerche,
con il rischio tuttavia di rallentare il ritmo, di eccedere nel didascalismo.
Meglio correre avanti veloci, come cavalli lanciati al galoppo o auto in gara
sulla pista, ansiosi di bruciare le tappe di una sfida a distanza dalla quale
nascerà un marchio destinato a fare storia, nonostante gli eventi tragici e mai del tutto chiariti che
accompagnarono i suoi primi anni.
Giorgio Caponetti, Quando l'automobile uccise la cavalleria, Milano, Marcos y Marcos, 2011.
Giorgio Caponetti, Quando l'automobile uccise la cavalleria, Milano, Marcos y Marcos, 2011.
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