Otto bambini rapiti e un enigmatico aguzzino. Un viaggio da Trieste a Roma. La voce narrante è quella di Manuel, l’ultimo dei bimbi rapiti, unico italiano, che racconta a vicenda ormai conclusa. Potremmo trovarci di fronte ad una storia crudele, o scabrosa. Invece no: non si percepisce violenza in questi rapimenti; pochi e poco convinti i tentativi di fuga di Manuel per liberarsi del suo rapitore; poca la nostalgia sua e degli altri bambini nel ripensare a ciò che si sono lasciati alle spalle.
Il loro viaggio procede a piedi, costeggiando strade o attraversando campi, in autostop o in treno; i loro alloggi sono ambienti fatiscenti, case abbandonate; la sopravvivenza legata a piccoli furti o elemosine. Ma c’è qualcosa che non ci aspetteremmo in questa vita randagia: prende forma una piccola comunità, con regole chiare perché necessarie. Il Raptor, nome attribuito al loro aguzzino da uno dei bambini, è una figura temuta, ma rispettata e riconosciuta.
Il dubbio che viene a Manuel nell’introdurre il suo racconto è quello che viene ad ognuno nel leggerlo e ci interroga, scardinando forse qualche convinzione sui bambini: «la vita vera era quella, la nostra con il Raptor, e questa – la scuola, i genitori, i regali di compleanno, la piscina – è come un giro in giostra, un esercizio finto che non allena a niente».
(Recensione di Rita del Piccolo Festival)
* * * *
Il mondo dei bambini è un mondo di estremi. Comica leggerezza e lacerante tragicità si sfiorano di continuo nel mondo dei bambini, e possono sfumare una nell’altra con una semplicità disorientante. È un mondo che spesso ci spaventa, perché mette a nudo le paure più profonde, ci mostra quanto poco basterebbe per far crollare tutte le certezze sulle quali abbiamo costruito la nostra vita. L’ansia che mettiamo nel proteggere i nostri figli, nel creare attorno a loro delle rassicuranti barriere, è uno scudo che serve a noi, un modo per convincerci che la realtà è tranquilla e ordinata, che tutto andrà sempre per il meglio. I bambini invece non hanno bisogno di rimanere in costante equilibrio su questa via di mezzo: possono oscillare pericolosamente fra gli estremi. Per questo le loro reazioni agli eventi sono imprevedibili, per questo hanno comportamenti inaspettati che mettono a dura prova la nostra disperata inclinazione a riportare tutto sulla ‘strada giusta’.
Ha dimostrato coraggio, Carola Susani, nel scegliere di raccontare le giornate di una compagnia di minorenni strappati dalle loro case; nell’affrontare una storia che si immerge in quel mondo bislacco e si lascia guidare dalle logiche altalenanti dei bambini, mentre tutta la sofferenza adulta viene paradossalmente racchiusa nella personalità problematica di Raptor, colui che impersona nell’immaginario collettivo il re dei cattivi, mentre qui finisce per apparire addirittura umano, troppo umano. Romanzo quasi senza trama, legato al filo di un viaggio privo di una vera destinazione, Eravamo bambini abbastanza riesce a prendere il lettore per il collo e a togliergli il respiro, pur avendo lasciato in secondo piano la violenza vera: lo avvince grazie proprio a quel gioco di paure ancestrali. Vorremmo che quei bambini fossero condotti a ricollocarsi in un mondo pulito e ordinato, vorremmo rimettere tutto a posto, smettere di vivere nell’ansia di una protratta incertezza, e in quello slancio percorriamo con loro tutto l’insensato e interminabile viaggio.
Un Decameron tragico e moderno per un gruppo di ragazzini esclusi dalla società civile. Essi costruiscono un cerchio dentro al quale incrociano le loro storie e le loro vite. È inquietante scoprire con quanta rapidità Manuel – ultimo dei bambini rapiti e narratore dalla voce distaccata – trovi una collocazione all’interno del cerchio, un suo ruolo, e persino forme contorte d’affetto. È inquietante con quanta facilità si lasci alle spalle e quasi dimentichi il mondo degli adulti, accettando situazioni e logiche che appaiono aberranti ai nostri occhi. Eravamo bambini abbastanza non ha nulla di scontato, non vuole farci riposare sui pregiudizi, giusti o sbagliati che siano. Solleva con arte decisivi quesiti, porgendoli però da una prospettiva inedita: il modo migliore per soppesarli in tutta la loro gravità.
Ha dimostrato coraggio, Carola Susani, nel scegliere di raccontare le giornate di una compagnia di minorenni strappati dalle loro case; nell’affrontare una storia che si immerge in quel mondo bislacco e si lascia guidare dalle logiche altalenanti dei bambini, mentre tutta la sofferenza adulta viene paradossalmente racchiusa nella personalità problematica di Raptor, colui che impersona nell’immaginario collettivo il re dei cattivi, mentre qui finisce per apparire addirittura umano, troppo umano. Romanzo quasi senza trama, legato al filo di un viaggio privo di una vera destinazione, Eravamo bambini abbastanza riesce a prendere il lettore per il collo e a togliergli il respiro, pur avendo lasciato in secondo piano la violenza vera: lo avvince grazie proprio a quel gioco di paure ancestrali. Vorremmo che quei bambini fossero condotti a ricollocarsi in un mondo pulito e ordinato, vorremmo rimettere tutto a posto, smettere di vivere nell’ansia di una protratta incertezza, e in quello slancio percorriamo con loro tutto l’insensato e interminabile viaggio.
Un Decameron tragico e moderno per un gruppo di ragazzini esclusi dalla società civile. Essi costruiscono un cerchio dentro al quale incrociano le loro storie e le loro vite. È inquietante scoprire con quanta rapidità Manuel – ultimo dei bambini rapiti e narratore dalla voce distaccata – trovi una collocazione all’interno del cerchio, un suo ruolo, e persino forme contorte d’affetto. È inquietante con quanta facilità si lasci alle spalle e quasi dimentichi il mondo degli adulti, accettando situazioni e logiche che appaiono aberranti ai nostri occhi. Eravamo bambini abbastanza non ha nulla di scontato, non vuole farci riposare sui pregiudizi, giusti o sbagliati che siano. Solleva con arte decisivi quesiti, porgendoli però da una prospettiva inedita: il modo migliore per soppesarli in tutta la loro gravità.
(Recensione di Sebastiano Bisson)
Carola Susani, Eravamo bambini abbastanza, Roma, Minimum Fax, 2012.
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