Tra una settimana centoquindici uomini si chiuderanno cum clave nella cappella Sistina per scegliere fra loro il prossimo a sedere sul trono di Pietro. Centoquindici calottine porpora riunite sotto il maestoso cielo di Michelangelo, in rappresentanza però solamente di una metà del cielo. Negli stessi giorni una donna continuerà a manifestare dinanzi alle porte del Vaticano: è Janice Sevre-Duszynska, guida del movimento Roman Catholic Womenpriests, scomunicata qualche anno fa per aver ricevuto una non approvata ordinazione a sacerdote, e da allora ferma sostenitrice del diritto delle donne di partecipare ai riti sacri con gli stessi ruoli degli uomini.
Non sono in grado di addentrarmi nella questione, lo eviterò, ci sono alla base aspetti teologici, culturali, socio-religiosi, un ginepraio che richiede in ogni caso sfaccettate competenze. Viviamo in un paese profuso nel bene e nel male di cattolicesimo, tutti gli italiani nascono cattolici poi eventualmente diventano qualcos'altro, è un dato di fatto, un'evidenza che ci caratterizza quanto il parlare la lingua di Dante. Dunque non mi voglio assolutamente scagliare contro la Chiesa, né giudicare la scelta di rimanere fermi sull'antica norma che esclude le donne dal sacerdozio. Quando tuttavia mi capiterà nuovamente di discutere della mia tiepidezza nei confronti del cattolicesimo, voglio fin da subito prevenire le possibili obiezioni. Non mi interessa più sapere che ciò che conta è il messaggio; che non bisogna guardare ai singoli, ai loro errori, ma all'istituzione nel suo complesso; che la mia vita ne perde se non riesco a vivere intensamente quella fede; che sono in fondo un pigro e che se solo mi impegnassi un po' probabilmente riuscirei come Pascal ad ardere nel fuoco della rivelazione divina. Arrivo persino a dire che sarei lieto di vivere l'esperienza, sarebbe una gran fortuna, ma la «fede è fatta come fa il solletico» diceva Luigi Pulci, c'è chi ne soffre e chi no. Stando così le cose, preverrò appunto tutte le domande, avendo a disposizione una semplice e sufficiente motivazione.
Perché non voglio considerarmi parte di una Chiesa che discrimina gli esseri umani in base al loro sesso, che ritiene la comunicazione con Dio una prerogativa esclusiva di un gruppo definito da un criterio legato alla natura della persona. Mi disturba pensare a un Dio che affida alla donna il compito di procreare e poi non accetta d'essere da lei rappresentato. Non dico insomma sia giusto o sbagliato, il punto è un altro: semplicemente non voglio mi si associ a quel sottinteso. Avendo una scelta, scelgo un cielo che riempia tutta la volta, azzurra o rosa che sia.