«Ti sentirò sollevarmi su in alto e sopra la tua testa» (Jeff Halper, 18 aprile 2011). È da qualche tempo che penso di farmi fare un tatuaggio. Mi piacciono i tatuaggi old school. Quelli tradizionali, per capirci. Teschi, donne, carte, pistole. Ma da qualche tempo vedo sul mio braccio il ritratto di Handala. Ho scoperto che anche Vittorio ne ha uno. Ho scoperto anche che Vittorio e Handala vanno per mano su una bandiera issata dai pescatori palestinesi nel punto più estremo del porto di Gaza. Le loro dita sono sollevate al cielo in segno di V.
Avrei voluto conoscere Vittorio. Avrei voluto fumare un sigaro insieme a lui. Avrei voluto sentirlo parlare. La sua voce mi ritorna a cadenza regolare. Quelle erre arrotate, così peculiari. Quel suono dolce. Vittorio è stato ucciso la notte tra il 14 e il 15 aprile 2011. Mi piace pensare però di averlo conosciuto Vittorio. Mi piace pensare che la lettura del blog Guerrilla Radio abbia permesso di accostarmi a lui. Sentirne l’odore. Oggi, con le sue azioni, insieme alle sue parole, legato al suo ideale, ci resta anche questo splendido Viaggio di Vittorio. E la signora Egidia non me ne vorrà se anch’io, sulla scorta del suo libro, continuo a parlare di Vittorio. Delle cose che di lui più mi hanno emozionato. Più mi hanno fatto pensare. Di quelle che mi hanno fatto piangere.
C’è un’immagine nel libro che si imprime a fuoco. Vittorio che entra in una scuola di Gaza sotto i bombardamenti israeliani e subito dei bimbi si abbracciano alle sue gambe. È un’immagine atavica. Che esprime tutta la sua forza innata. È calda. Accoglie. Come il suo sorriso. Che, nonostante tutte le atrocità dovute affrontare, perde raramente. E Vittorio è bello. È bello con la pipa tra le mani. Col capo coperto dal cappello da pescatore. È bello nella sua kefiah. Sul ponte di una nave con la bandiera palestinese in alto. Vittorio mi pone anche domande scomode. Difficili. «Tu che fai?». E poi un monito: «Palestina è anche fuori dall’uscio di casa» (p. 158). E allora è ancora più vero quanto scrive la signora Egidia: «Questo figlio perduto, ma così vivo come forse non lo è stato mai, che, come il seme nella terra marcisce e muore, darà frutti rigogliosi». I frutti di Vittorio. Pace, giustizia, libertà, amore per gli ultimi, per gli oppressi. Ideali fiaccati e calpestati. Non soltanto in Palestina. Ma in quella terra martoriata e dimenticata le pedate sono crateri nel suolo, famiglie dilaniate, case distrutte. Sono calci e violenze giornaliere perpetrate impunemente. Vittorio grida al mondo tali crimini. Continuerà a farlo. Grida che non vi è «differenza […] tra Brusca che brucia un bambino nell’acido […] e Peres che di bambini […] nel fosforo bianco ne ha bruciati più di trecentocinquanta». Grida che «i diritti umani non possono essere selettivi» (p. 145).
E poi le lacrime. Quando sale al cielo l’inno di Whitman: «Levati, per te la bandiera sventola, squilla per te la tromba; […] Ti acclamano le folle» (p. 154). Quando Bella ciao dei racconti partigiani che ascolta da ragazzo accompagna il suo ultimo viaggio. Nella sua Bulciago.
Vittorio. Ti ho conosciuto. Ti avrò per sempre accanto come un vecchio amico. Quando anch’io sentirò sollevarmi su in alto. Arrivederci Vik!
(Recensione di Salvatore Sansone)
Egidia Beretta Arrigoni, Il viaggio di Vittorio, Milano, Dalai editore, 2012.
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