
(Recensione del Piccolo Festival)
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In quale scenario ci troveremo a vivere nei mesi a venire? La domanda inizia a farsi pressante, perché le ferie, con il loro potere anestetizzante, sono ormai alle spalle e tocca tornare a fare i conti con una realtà che è, inutile dirlo, quanto mai incerta e preoccupante. Siamo prossimi ad incrociare per strada un nostro concittadino pronto a scagliare la prima pietra? Quell’insospettabile vicino di casa che avrà nel frattempo deciso di averne abbastanza e girerà armato e deciso a svuotare il caricatore su uno dei nostri leader o capitani d’industria, come nello scenario recentemente tratteggiato con gran pregnanza da Nicola Lagioia? Certe domande potrebbero rivelarsi sempre meno provocatorie. Forse da qui deriva l’inquietudine che mi ha accompagnato nella lettura dell’ultimo romanzo di Matteo Speroni. In bilico fra ucronia e fantascienza, Brigate Nonni. I ribelli del tramonto si svolge nell’ambiguità di un’epoca che non si capisce se sia lontanissima dal nostro mondo, oppure dietro l’angolo rispetto all’oggi. Quelle poche, a volte superflue, trovate futuristiche non sempre risultano convincenti (prima fra tutte la saltarola, un esercizio da palestra consistente nel comporre sms appendendosi a maniglie pendenti dal soffitto). Quando certi arzigogoli vengono lasciati da parte la storia accelera, ci trascina verso un baratro che, c’è da sperare, sia davvero solo fantascienza. Ma la realtà descritta risulta molto simile al nostro quotidiano, è appena scentrata, come in un leggero fuori fuoco che continuamente spinge a chiedersi se Speroni stia giocando di fantasia oppure provi ad immaginare il futuro.
Il protagonista Vincent Guerra, nomen omen, non può più darsi pace: il suo paese l’ha preso a schiaffi, l’ha umiliato giorno dopo giorno nella sua precaria vecchiaia, lo costringe ad inventarsi sempre nuovi mestieri per sbarcare il lunario. Ma alla fine, tutto quello che avverrà, non sarà provocato da questa pur difficile situazione. All’incertezza del quotidiano il buon Vincent si poteva pure abituare, a quella sì, però accettare la morte di Mitha ¬– a cui era mancato il denaro per un operazione al cuore – e il conseguente suicidio di suo fratello Abel che non aveva retto alla perdita della moglie, accettare tutto ciò era al di sopra delle sue capacità. La rabbia, abilmente compressa e plasmata, trasforma l’uomo qualunque in un freddo organizzatore, un raccoglitore di malcontento che sa gestire situazioni pericolose e complesse, lo mette a capo di una squadra speciale facente parte di una rete addirittura nazionale. Più si avanza nella lettura, più si scopre in Vincent una sorta di James Bond di Villa Arzilla, un uomo che pare non farsi mai cogliere di sorpresa dagli eventi, neppure quando questi divengono enormi, spropositati, quando la quotidianità è sovvertita e per le strade c’è ormai un’aperta guerra.
Altre persone, come Vincent, non più in grado di accettare lo status quo, anelano ad un orizzonte diverso e si immolano in un’impresa che sarebbe stata fino a poco prima non solo inimmaginabile per loro, ma addirittura folle, da rifuggire con sdegno. Persone che del rispetto della legge avevano fatto una bandiera, finiscono per fare il salto oltre la legalità, entrano in un supermercato – così inizia il romanzo – con un fucile mitragliatore che a mala pena riescono a reggere quando, per sconsiderata imperizia, inizia a sputare fuoco sul soffitto. Rimangono insomma nonostante tutto vendicatori de noantri – e come spesso succede con armi e violenza, la situazione sfugge di mano.
Dall’altro lato sta il poliziotto, il capitano Palude, la controparte integerrima, decisa a non scendere a compromessi, fino all’estremo, fino ad affondare – anche qui nomen omen – e perdere tutto. «In queste giornate ho visto e sentito la funerea maestosità del dolore, il lugubre impianto meccanico della cattiveria, l’ineluttabilità del male, il suo tuono, la sua potenza. Il mio problema (…) non è avere perso la fiducia nella Polizia o nello Stato, ma è non credere più nell’umanità» (p. 245). Perché la speranza pare davvero non avere spazio in questo mondo parallelo (e così vicino) al nostro. Matteo Speroni mette in scena la rivolta delle persone per bene – e in quel gruppo ci sembra immodestamente di vederci riflessi, sempre più esasperati.
(Recensione di Sebastiano Bisson)
Matteo Speroni, Brigate nonni. I ribelli del tramonto, Roma, Cooper, 2011.