Una malsana tendenza al sacrificio segna la donna dei nostri
tempi. In maniera più o meno conscia ella vive il proprio ruolo di moglie,
madre, figlia o sorella, come fosse una sorta di necessario martirio. La prima
conseguenza è che qualcosa nel suo intimo – un’idea, un’aspirazione, un desiderio
– finisce sempre per essere immolato sull’altare della quotidianità coatta. È
una schiavitù subdola, difficile da mettere a fuoco. In questi giorni di
sensibilizzazione verso il problema della violenza sulla donna, ho trovato
istruttivo leggere quanto raccontano due scrittrici italiane, molto diverse fra
loro, che da prospettive in parte opposte si sono focalizzate su figure di
donne che fanno un passo indietro rispetto alla vita, senza realizzare che quel
passo, ripetuto giorno dopo giorno, le avvicina sempre più al ciglio di un
abisso.
Le donne di cui racconta Rossella Milone in La memoria dei vivi emergono dalle
pagine quali casi emblematici di un modus
vivendi amaro, melanconico. Sono donne che la vita si diverte a sconfiggere,
come se il loro martirio fosse una debolezza, una vigliaccheria tale da
meritare una costante punizione. Lena, nel racconto Leucosia, acconsente ad affrontare faccia a faccia amici e colleghi
di un tempo, segni vivi della sua rinuncia, giustificata anche – ma forse non
solo – dalla dedizione verso Matteo, marito ora malato e non più
autosufficiente. E proprio in quella prova decisiva Lena sente il peso della
possibile sconfitta, dell’abbandono, quasi che il mondo disprezzasse la scelta
nella quale ella ha segregato se stessa, credendo di fare la cosa più giusta. Grande
il rischio di costruirsi una vita squilibrata, instabile, sempre sul punto di
crollare. Niente di più inevitabile nel momento in cui rinuncia a sé e allunga le
radici alla ricerca di un terreno saldo troppo distante da lei. In Le gioie dei morti, Silvana paga colpe
non sue, giusto perché si fa abbindolare dalla sorella, perché non sa
opporvisi, e allora crolla, balbetta, non è più lei, la sua anima svapora e la
lascia muta, ad aspettare che accada quel che accade. Le atmosfere di
tristezza, a tratti leggere e quasi dolci, sono la cosa migliore che Rossella
Milone porta fuori dalla sua penna: letta l’ultima riga ci si guarda intorno, lievemente
anestetizzati, tormentati dal dubbio che questo ‘male’, spesso taciuto, sia
anche qui, vicino a noi.
Il piano su cui si muove Giuseppina Pieragostini è
tutt’altro. L’ambiente domestico della Vendetta
della Sepolta Viva è un luogo grottesco e surreale, o forse normalissimo in
sé, ma sfigurato dal passaggio attraverso un filtro mentale che sa di follia.
Nulla a che vedere con il pacato realismo di cui sopra, qui tutto è
trasfigurato in una quotidianità che di normale ha solo i maniacali e ipnotici
gesti della perpetuità casalinga. I personaggi sono ipercaratterizzati,
estremi, e nel caso del marito così pessimi da risultare poco credibili. A
portare avanti la trama una donna, Mariagiulia, che è l’esatta personificazione
della frustrazione femminile: colei che poteva essere tutto e non arriva ad
essere nulla, anzi finisce annullata dalla vita anonima in cui si lascia
seppellire. Si sprecano allora le metafore funebri e il focolare finisce per
assomigliare ad una cella. C’è un astio paradossale che serpeggia fra le righe
e che vorrebbe fungere da exemplum
della troppo frequente condizione femminile. Mariagiulia porta dentro di sé
un’altra donna, il suo io potenziale, proiezione di quello che vorrebbe essere
ma non sarà mai, il desiderio perennemente frustrato di realizzazione che porta
tante donne a stare immobili persino quando non riescono a pensare ad altro che
a fuggire.
Il pensiero che rimane, dopo le letture, è che
paradossalmente la violenza peggiore sulle donne sia quella che le donne
infliggono a se stesse. Che significa denunciare e marciare per fermare la
violenza sulle donne? Si rischia di passare per lapalissiani, si rischia di
sollevare un cartello alla vista del quale tutti applaudono ma nessuno davvero
si muove. Un reale movimento sociale e culturale che possa scardinare questo
deprecabile stato di cose si potrà realizzare non solo se verranno dati alle
donne gli strumenti della loro emancipazione, ma soprattutto se le donne si
convinceranno a farne uso, per il bene loro e di tutta la società. Uno dei modi
migliori per far sì che ciò effettivamente accada, è spingere le donne a non
rinunciare alle proprie aspirazioni, è educare alla realizzazione di sé
piuttosto che alla soddisfazione di un paradigma patriarcale, evitando appunto
di fare come Lena, Silvana o Mariagiulia, descritte nell’atto di compiere
l’ennesimo passo indietro.
Rossella Milone, La memoria dei vivi, Torino, Einaudi,
2008.
Peccato per: l’uso insistito della locuzione affianco, inesistente in italiano.
Le mie chiocciole: @@@
Da regalare: all'amica incerta fra famiglia e carriera
Giuseppina Pieragostini,
La vendetta della Sepolta Viva di
Rosaspina di Belvedere, Roma, Il caso e il vento, 2011.
Peccato per: il titolo che
gioca a sfavore del romanzo.
Le mie chiocciole: @@
Da regalare: a chi prende l'economia domestica come una vocazione religiosa
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