«...tutti a sentire, nell’aria, un’incomprensibile apocalisse imminente; e, ovunque, questa voce che corre: stanno arrivando i barbari...». Due anni fa litigavo al telefono con un amico riguardo le effettive possibilità d’incidere positivamente (di ‘incisioni’ negative quante se ne vuole) nella vita dei ragazzi per un(’)insegnante decente che, per definizione, è portatore di un sistema di valori minoritario in seno alla società e in confronto ai grandi media (pubblicità incluse). Valori che – non tutti, diciamolo – sono proprio necessari alla formazione di un cittadino consapevole. Io mi battevo per il sì, lui ostinatamente per il no e, a sostegno della sua tesi, mi invitò a leggere questo libro.
Leggendolo sono rimasta della mia idea e l’ho rafforzata. Ma andiamo con ordine: di cosa si parla in I barbari? Nientepopodimenoché della mutazione culturale in atto nel mondo occidentale a partire, grossomodo, dal dopoguerra. Ora, Baricco può anche non piacere: è antipatico e i suoi romanzi, in alcuni, ispirano il lancio sul muro non oltre la decima riga, ma questo volume – una raccolta di articoli usciti su «Repubblica» fra maggio e ottobre 2006 – non si può non trovarlo molto interessante – anche non condividendone tesi e impostazione.
È norma parlare di questa mutazione culturale occupandosi di singoli aspetti, di evenienze isolate: grandi librerie, fast-food, reality show, politica in televisione, ragazzini che non leggono, ecc. Baricco invece propone un’analisi organica e approfondita, con lo scopo dichiarato di scuotere chi di dovere – politici, artisti, insegnanti, custodi della cultura, divulgatori, ma anche semplici cittadini – dalla superificialità delle chiacchiere da bar, dalla paralisi, dall’isolamento, dalla tentazione di erigere muraglie che a nulla servono e sono mai servite (se non a dare l’illusione a chi le erige di salvaguardare la propria identità), per cercare di «decidere cosa del mondo vecchio, vogliamo portare fino al mondo nuovo (...) I legami che non vogliamo spezzare, le radici che non vogliamo perdere, le parole che vorremmo sentire ancora pronunciare, e le idee che non vogliamo smettere di pensare. È un lavoro raffinato. Una cura. Nella grande corrente mettere in salvo ciò che ci è caro. È un gesto difficile perché non significa, mai, metterlo in salvo dalla mutazione, ma, sempre, nella mutazione...».
Baricco ha un’opinione precisa sia di quali siano i tratti distintivi della mutazione sia delle sue cause, e sceglie un metodo di presentazione delle sue tesi che sembra seguire i passi classici del metodo scientifico: osservazione, stesura di una tesi provvisoria, verifica sperimentale (mediante esperimenti mentali: vale!) e – a seguito della conferma sperimentale – sistemazione della tesi stessa e suo utilizzo per interpretare altri fenomeni. Il saggio è suddiviso in: Inizio; Epigrafi; Saccheggi (effetti ‘visibili’ della mutazione e modus operandi dei barbari. In particolare riguardo: vini, calcio e libri. Se e come è mutato il concetto di qualità, in particolare in relazione alla commercializzazione); Respirare con le branchie di Google (Google come summa del sistema valoriale dei barbari; ritratto dei mutanti e delle loro caratteristiche principali; come sono mutati i concetti di idea e di esperienza); Perdere l’anima (genesi storico sociale della mutazione; nascita e morte dei ‘valori’ borghesi); Ritratti (i barbari a confronto con: spettacolarità, nostalgia, passato, democrazia, autenticità, educazione); Epilogo.
Alcuni degli aspetti della mutazione che non possono essere liquidati con uno storcer di bocca: smettere di considerare la fatica un valore in sé, piuttosto che un mero effetto collaterale dell’impegno, del perseguire un obiettivo che ci sta a cuore; riconsiderare il rapporto piacere-fatica; smettere di avvertire l’esigenza di concetti quali l’anima o la spiritualità [magari...]; prestare maggiore attenzione al processo che al prodotto; spostare l’attenzione dall’artista – in senso lato – al fruitore (molto interessante considerare questo spostamento in seno alla didattica: sono 40 anni che se ne parla ma alcuni insegnanti ancora non se ne sono accorti!); cercare correlazioni fra cose e concetti piuttosto che ambire a specializzarsi in un unico ambito; «...insegu[ir]e il senso là dov’è vivo...».
«È il paradosso che denunciano gli sguardi smarriti dei ragazzi a scuola: hanno bisogno di senso, di semplice senso della vita, e sono disposti anche ad ammettere che Dante, per dire, glielo fornirebbe: ma se il cammino da fare è così lungo, e così faticoso, e così poco congeniale alle loro abilità, chi gli assicura che non moriranno per strada, senza arrivare mai alla meta...?». Chi trova una risposta facile alla domanda precedente, non si rende conto della portata dell’intera faccenda...
La scuola è infatti uno degli attori della battaglia culturale in atto e non può e non deve tirarsi indietro rispetto al proprio compito. Compito che consiste, come per gli altri attori, nel determinare quali fra le istanze del ‘nemico’ accogliere, su quali cercare una mediazione, quali rifiutare sdegnosamente. Esponenti di rilievo della ricerca in didattica (della matematica, almeno) non fanno che confrontarsi su queste questioni. E alcuni senza neanche averlo letto, il saggio di Baricco.
Leggendolo sono rimasta della mia idea e l’ho rafforzata. Ma andiamo con ordine: di cosa si parla in I barbari? Nientepopodimenoché della mutazione culturale in atto nel mondo occidentale a partire, grossomodo, dal dopoguerra. Ora, Baricco può anche non piacere: è antipatico e i suoi romanzi, in alcuni, ispirano il lancio sul muro non oltre la decima riga, ma questo volume – una raccolta di articoli usciti su «Repubblica» fra maggio e ottobre 2006 – non si può non trovarlo molto interessante – anche non condividendone tesi e impostazione.
È norma parlare di questa mutazione culturale occupandosi di singoli aspetti, di evenienze isolate: grandi librerie, fast-food, reality show, politica in televisione, ragazzini che non leggono, ecc. Baricco invece propone un’analisi organica e approfondita, con lo scopo dichiarato di scuotere chi di dovere – politici, artisti, insegnanti, custodi della cultura, divulgatori, ma anche semplici cittadini – dalla superificialità delle chiacchiere da bar, dalla paralisi, dall’isolamento, dalla tentazione di erigere muraglie che a nulla servono e sono mai servite (se non a dare l’illusione a chi le erige di salvaguardare la propria identità), per cercare di «decidere cosa del mondo vecchio, vogliamo portare fino al mondo nuovo (...) I legami che non vogliamo spezzare, le radici che non vogliamo perdere, le parole che vorremmo sentire ancora pronunciare, e le idee che non vogliamo smettere di pensare. È un lavoro raffinato. Una cura. Nella grande corrente mettere in salvo ciò che ci è caro. È un gesto difficile perché non significa, mai, metterlo in salvo dalla mutazione, ma, sempre, nella mutazione...».
Baricco ha un’opinione precisa sia di quali siano i tratti distintivi della mutazione sia delle sue cause, e sceglie un metodo di presentazione delle sue tesi che sembra seguire i passi classici del metodo scientifico: osservazione, stesura di una tesi provvisoria, verifica sperimentale (mediante esperimenti mentali: vale!) e – a seguito della conferma sperimentale – sistemazione della tesi stessa e suo utilizzo per interpretare altri fenomeni. Il saggio è suddiviso in: Inizio; Epigrafi; Saccheggi (effetti ‘visibili’ della mutazione e modus operandi dei barbari. In particolare riguardo: vini, calcio e libri. Se e come è mutato il concetto di qualità, in particolare in relazione alla commercializzazione); Respirare con le branchie di Google (Google come summa del sistema valoriale dei barbari; ritratto dei mutanti e delle loro caratteristiche principali; come sono mutati i concetti di idea e di esperienza); Perdere l’anima (genesi storico sociale della mutazione; nascita e morte dei ‘valori’ borghesi); Ritratti (i barbari a confronto con: spettacolarità, nostalgia, passato, democrazia, autenticità, educazione); Epilogo.
Alcuni degli aspetti della mutazione che non possono essere liquidati con uno storcer di bocca: smettere di considerare la fatica un valore in sé, piuttosto che un mero effetto collaterale dell’impegno, del perseguire un obiettivo che ci sta a cuore; riconsiderare il rapporto piacere-fatica; smettere di avvertire l’esigenza di concetti quali l’anima o la spiritualità [magari...]; prestare maggiore attenzione al processo che al prodotto; spostare l’attenzione dall’artista – in senso lato – al fruitore (molto interessante considerare questo spostamento in seno alla didattica: sono 40 anni che se ne parla ma alcuni insegnanti ancora non se ne sono accorti!); cercare correlazioni fra cose e concetti piuttosto che ambire a specializzarsi in un unico ambito; «...insegu[ir]e il senso là dov’è vivo...».
«È il paradosso che denunciano gli sguardi smarriti dei ragazzi a scuola: hanno bisogno di senso, di semplice senso della vita, e sono disposti anche ad ammettere che Dante, per dire, glielo fornirebbe: ma se il cammino da fare è così lungo, e così faticoso, e così poco congeniale alle loro abilità, chi gli assicura che non moriranno per strada, senza arrivare mai alla meta...?». Chi trova una risposta facile alla domanda precedente, non si rende conto della portata dell’intera faccenda...
La scuola è infatti uno degli attori della battaglia culturale in atto e non può e non deve tirarsi indietro rispetto al proprio compito. Compito che consiste, come per gli altri attori, nel determinare quali fra le istanze del ‘nemico’ accogliere, su quali cercare una mediazione, quali rifiutare sdegnosamente. Esponenti di rilievo della ricerca in didattica (della matematica, almeno) non fanno che confrontarsi su queste questioni. E alcuni senza neanche averlo letto, il saggio di Baricco.
(post di Alessandra Angelucci)
Le mie chiocciole: @@@@
Da regalare: a tutti coloro che non si chiamano fuori
8 commenti:
Nonostante io faccia parte di quei lettori cui i romanzi di Baricco "ispirano il lancio sul muro non oltre la decima riga", leggerò invece dalla prima all'ultima questo libro, anche se porta la sua firma (e lo farò anche grazie alla penna felice di Alessandra Angelucci).
Quello della mutazione e della perdita del senso della vita (almeno di quello che ai miei occhi - o meglio, al mio cuore - è il senso profondo della vita) è per me, mamma di due bambini che frequentano la scuola elementare, uno dei crucci più gravi, quello fra tutti che più spesso mi regala ore insonni. Abbiamo (insegnanti e genitori) un compito davvero non facile e la sensazione è proprio quella di voler salvare, a tutti i costi, "i legami che non vogliamo spezzare, le radici che non vogliamo perdere, le parole che vorremmo sentire ancora pronunciare, e le idee che non vogliamo smettere di pensare". Grazie (ancora prima di aver letto la decima riga) a Baricco per aver consumato inchiostro per scuotere chi si lascia trascinare dalla corrente e per sostenere chi ancora cerca come può di non andare a fondo.
E grazie anche a te, Valentina. Oltretutto mi hai ricordato (ops!) che sono anche madre oltre che prof (e anche prima e di più...) e che, effettivamente, la battaglia è aperta anche fra le mura di casa, eccome!
Anche io ho letto Baricco con fatica (e mai fino in fondo); ma ora il tema arriva alle radici di una mia profonda inquietudine di questi anni e Alessandra ha saputo portarci la sua bella persona. Sono andata all'anteprima e sì, credo proprio che mi avventurerò nel libro!
Grazie Alessandra!
Lo lessi appena uscito e lo ricordo ancora come un libro illuminante, irriverente e...copernicano!
Ma c'è da dire, ad onor del vero, che a me Baricco... piace (notevole la postfazione di "Omero, Iliade" sulla guerra)
Un saluto al caro Seb.
Dunque vediamo, premetto di non aver letto il libro (ma di aver affrontato Baricco più di una volta) e chissà forse nei prossimi mesi potrei trovare un angolino del mio tempo da dedicargli (la buona volontà c'è poi si vedrà). Provo, cercando di seguire il flusso dei pensieri sopraggiunti nella mia mente durante la lettura della recensione, a capire perchè mai questo libro dovrebbe interessarmi. Mutazione culturale in atto.
Beh, sono una giovane studentessa universitaria per cui più per cause naturali che per principio, sono schierata dalla parte di quei "fruitori" di cui la prof parla. Ebbene io, nonostante abbia una visione solamente parziale di tale mutazione, la percepisco. Spesso la mattina dirigendomi all'università scruto le persone intorno a me, impegnate nello stesso mio tragitto. Nei loro occhi e probabilmente anche nei miei, c'è sempre quello sguardo sufficiente, mai vitale, mai intenso, di chi sa che sta camminando verso ciò che chiama la sua passione, il suo sogno, solo per convenzione, solo perchè ci si sente apposto con sé stessi e con la società nel dire "io ogni mattina mi alzo per andare a seguire le lezioni che mi porteranno ad essere cio che ho sempre desiderato". ecco la novità: non è vero nulla. la maggior parte di noi vive nella finzione fino ad illudersene. in realtà ciò che andiamo a fare ogni giorno non è la nostra passione, non è il nostro sogno, noi camminiamo ci sediamo ascoltiamo prendiamo un blocco e scriviamo appunti e ce ne ritorniamo a casa sentendoci acculturati, ma non bruciamo di vitalità intellettuale, non abbiamo gli occhi luminosi di chi ha sete di conoscenza. E non una conoscenza qualsiasi. Parlo di conoscenza vera, profonda aperta, mai limitata sempre pronta ad espandersi in mille ramificazioni,pronta a trasformarsi in qualcosa che ci appartiene personalmente e ci arricchisce, trasformarsi in coscienza.
La verità è che non riceviamo quasi mai lo stimolo che fingiamo di ricevere, da chi è lì di fronte a noi a trasmetterci "cultura". Eppure mi sembra che il progressivo espandersi di questa macchia che è la mancanza di stimoli, sia direttamente proporzionale alla noncuranza e l'indifferenza che le riserviamo. Leggendo le righe della recensione mi sono balzate immediatamente all'occhio parole come "attore", "fruizione del pubblico", "impegno dell'artista", parole che rimandano al campo semantico del teatro, ed è proprio al teatro che corrono i miei pensieri (chissà forse è perchè sono giorni che sbatto la testa sui libri per preparare un esame proprio sulla storia del teatro).
...
...
Arrivo subito al punto: nel Novecento il teatro ha subito una profonda rivoluzione, tuttora in atto, causata in generale dalla presa di coscienza che per poter sopravvivere esso deve mutare fino a rendersi nuovamente necessario per la società e per l'individuo. Tra i mille aspetti su cui L' uomo di teatro ha deciso di focalizzare l'attenzione, c'è il problema del rapporto attore, artista - fruitore, spettatore, pubblico, Egli si è chiesto: come posso far sì che l'esperienza teatrale, sia dal punto di vista di chi è sul palco sia da quello di chi assiste, possa essere qualcosa di necessario per sé stessi, per la propria vita interiore (ed anche esteriore), qualcosa capace di renderci in qualche modo più completi?
Le risposte sono state e sono tuttora varie ed articolate, ma soprattutto,è bene sottolinearlo, nessuna è definitiva.
Ecco io credo che prendendo il teatro come una bella metafora della Cultura possiamo impararare tantissimo. Il professore, l'insegnante il maestro la guida è l'attore ogni studente è uno spettatore e questa sera va in scena lo spettacolo "Cultura". il regista deve chiedersi come può rendere la pièce un'esperienza vitale, energica, nuova appagante, formativa per le coscienze di chi è in scena e di chi è in platea. L'attore deve usare tutte le sue forze per scuotere lo spettatore nel profondo non solo per colpire il bersaglio ma anche per farsi bersaglio, ricevere anch'egli un nuovo stimolo che lo porti a lavorare ancor meglio su di sé e, come in un circolo virtuoso riproporsi ancora e ricominciare a donare linfa ad un nuovo pubblico. tutto ciò in un continuo mutamento che non lasci mai spazio ad un ristagno deleterio o alla presunzione di aver trovato soluzioni definitive, universali.
il sistema della cultura odierno, credo debba prendere esempio dal piccolo mondo del teatro che zitto zitto ha sempre scovato per primo le esigenze dell'umanità nei suoi cambiamenti,e chiedersi anch'esso cosa può fare al fine di rimettere in moto lo scorrere vorticoso del flusso di conoscenza senza aver paura di abbattere con forza dighe e ponti.
In definitiva sì, credo che leggerò questo libro, se non altro per trovare nuovi spunti su cui riflettere.
complimenti per la recensione prof, e sappia che lei sul palco di cui parlo è stata un'ottima attrice... lo dico da ex alunna e non per un nove in pagella!
Giuliana
Cara Giuliana, innanzitutto grazie per aver dedicato tanto tempo e passione a questo commento.
Se ho capito bene cosa intendi, stai proprio mettendo a confronto quello che è con quello che avrebbe potuto essere (eccezioni escluse), secondo Baricco almeno (io non ho una cultura sufficiente per proporre una visione alternativa). Come te Baricco indica nelle cosiddette avanguardie l'unico tentativo serio d'intercettare le esigenze di rottura con le istanze romantiche provenienti da più parti. Le novità proposte dalle avanguardie però sono "passate" (e notevolmente ridimensionate) solo in pochi ambiti culturali.
Per quanto riguarda la musica - fondendosi con le proposte provenienti dagli ambienti afroamericani e dal folk - portando alla nascita del rock e del pop (la musica cosiddetta contemporanea, invece, ha sostanzialmente fallito). Rock e pop che però negli ultimi 20 o 30 anni hanno visto tagliati fuori dai circuiti popolari ogni ulteriore vera novità che si presentasse.
Anche la danza ne è stata condizionata, basti pensare al Tanztheatre Wuppertal di Pina Bausch sul quale Wim Wenders ha girato lo splendido film "Pina 3D". Ma questa trasformazione non è certo diventata mainstream: la danza moderna (che può anche raggiungere vette interessanti ma, più spesso, si ritrova un gradino sotto quello occupato dalle danze folkloristiche) e la danza classica sono molto più note e diffuse della danza contemporanea, specialmente nella conservatrice Italia!
In ambito teatrale poi, in Italia (del resto d'Europa non so), il teatro che maggiormente si vede in giro, delle idee dell'avanguardia poco o niente ha mantenuto.
Cosa manca? Il cinema, che continua grossomodo a evolvere, anche se sempre più a fatica, e le arti figurative che sono forse le più libere di tutte ma anche quelle più lontane dalla cultura popolare. Sostanzialmente le istanze di rinnovamento serie hanno fallito, lasciando avanzare un sostanziale e generale decadimento in tutti gli ambiti culturali più popolari. Televisione in testa. Chi non ha strumenti critici più che appuntiti di par suo, si ritrova in balìa del BRUTTO che avanza prepotente in ogni direzione. E posso avanzare l'idea che il brutto si porti appresso quella sensazione di "tirare a campare" di cui parli? O che almeno siano correlati (chi venga prima e chi venga dopo, in effetti, è difficile da dirsi...)?
@Giuseppe: Lieto del dibattito sollevatosi, vengo anch'io a spezzare una lancia in favore del bistrattato Baricco: "Novecento" l'ho trovato magnifico (però d'altro canto "Seta" mi ha alquanto infastidito).
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