Alla vigilia dell'entrata in vigore della Legge Levi sul prezzo dei libri, ecco la seconda parte delle nostre riflessioni in merito (leggi la prima).
Si tratta di una mossa per ostacolare gli operatori on-line? È risaputo che la gran parte delle librerie virtuali offrono i libri a prezzi più vantaggiosi rispetto a qualsiasi altro operatore ‘fisico’, e i loro sconti vanno oltre la soglia sopportabile da una normale libreria. Dunque per il lettore esse risultano spesso preferibili, anche perché danno l’illusione di garantire un servizio molto più efficiente. Ho detto illusione perché molto di frequente i loro archivi, gestiti in maniera quasi del tutto automatizzata, forniscono informazioni approssimative: danno per esaurite edizioni che non lo sono, presentano come fuori catalogo libri in realtà non ancora usciti, etichettano come “di difficile reperibilità” i libri di editori per i quali non dispongono di un contatto diretto, ecc. Dunque illudono di garantire un servizio sempre migliore rispetto al classico libraio, in realtà non sempre è così. Nonostante ciò la validità dei loro servizi è indubbia, e questo consentirà loro di prosperare, ne sono convinto, persino scontando ‘solo’ del 15%.
È una legge che va a discapito dei lettori? Anche chi è disposto ad un sacrificio per salvaguardare la ‘bibliodiversità’, si chiede perché le librerie indipendenti e di qualità debbano garantirsi la sopravvivenza gravando solamente sulle spalle di quei lettori disposti ad accettare prezzi meno convenienti. In fondo, in un regime di libero mercato, chi non sa ricavarsi la propria nicchia, è giusto che lasci lo spazio ad altri. Con l’avvento dei supermercati, molti piccoli alimentari hanno chiuso i battenti; l’arrivo di Ikea ha piegato le ginocchia a diversi mobilifici; perché non lasciare allora che Amazon o le librerie Feltrinelli si accaparrino tutti i lettori? L’atteggiamento dei librai non mi pare sia mai stato ‘assistenzialistico’, nel senso che da tempo la loro professionalità si è evoluta per offrire servizi e ambienti nuovi tali da garantire comunque un riscontro in termini di clienti. D’altro canto il mercato del libro, per sua natura, soffre molto più di altri della concentrazione della filiera, semplicemente perché dei libri si può fare a meno, del latte no, e questo salva molti pizzicagnoli e condanna tante librerie. Magari, non voglio negarlo, questo è l’inevitabile destino, ma è bene avere presente le conseguenze. Vi sono molti editori minori – in termini esclusivamente di quantità, s’intende – che non sono quasi presi in considerazione dalle grandi catene e che quindi ‘sparirebbero’ assieme alle librerie che oggi danno loro una qualche visibilità. Aggiungo che la libreria è ancora luogo di incontro e promozione della cultura, in special modo locale, con meccanismi che mai e poi mai potranno essere fatti propri dalle librerie Mondadori o Giunti. Si può decidere benissimo di rinunciare a tutto ciò, a patto però di aver ben compreso la complessità dello scenario, cosa che non si può dire di chi afferma che la legge Levi è tout court contro i lettori.
È una legge miope, che non risponde alle sfide dei nuovi mercati e delle nuove tecnologie? Non era quello l’ambizioso obiettivo. Convengo che è una legge minore, anche protezionistica, ma di un protezionismo intelligente (pratica auspicabile per uno Stato), complessivamente a favore di molti piccoli e a scapito di pochi grandi, in un momento di difficoltà economica per il comparto. Trovo sia insomma un buon segno che lo Stato intervenga a correggere una pratica commerciale che minava la ricchezza del panorama editoriale. I nuovi mercati e le nuove tecnologie sono altra cosa, sfida ben più impegnativa e comunque non schivabile; sfida che rimane aperta e andrà riflettuta, sia dalla politica sia da editori e librai, al di là degli effetti e del corto raggio (ma non miope) della legge Levi.
Non pretendo che queste riflessioni sparse possano esaurire il discorso, ma mi bastano per dire che il segnale è a mio avviso positivo. Non si tratta peraltro di un’iniziativa isolata: in Francia c’è un tetto agli sconti del 5%; in Spagna e Germania gli sconti mi pare non siano nemmeno previsti. La compagnia non è così malvagia. Per chi volesse approfondire, consiglio di entrare in contatto con i Mulini a Vento, un collettivo composto da diverse case editrice medie e piccole che opera per una nuova regolamentazione del mercato del libro e che ha già ipotizzato nuove iniziative per il prossimo futuro.
È una legge che va a discapito dei lettori? Anche chi è disposto ad un sacrificio per salvaguardare la ‘bibliodiversità’, si chiede perché le librerie indipendenti e di qualità debbano garantirsi la sopravvivenza gravando solamente sulle spalle di quei lettori disposti ad accettare prezzi meno convenienti. In fondo, in un regime di libero mercato, chi non sa ricavarsi la propria nicchia, è giusto che lasci lo spazio ad altri. Con l’avvento dei supermercati, molti piccoli alimentari hanno chiuso i battenti; l’arrivo di Ikea ha piegato le ginocchia a diversi mobilifici; perché non lasciare allora che Amazon o le librerie Feltrinelli si accaparrino tutti i lettori? L’atteggiamento dei librai non mi pare sia mai stato ‘assistenzialistico’, nel senso che da tempo la loro professionalità si è evoluta per offrire servizi e ambienti nuovi tali da garantire comunque un riscontro in termini di clienti. D’altro canto il mercato del libro, per sua natura, soffre molto più di altri della concentrazione della filiera, semplicemente perché dei libri si può fare a meno, del latte no, e questo salva molti pizzicagnoli e condanna tante librerie. Magari, non voglio negarlo, questo è l’inevitabile destino, ma è bene avere presente le conseguenze. Vi sono molti editori minori – in termini esclusivamente di quantità, s’intende – che non sono quasi presi in considerazione dalle grandi catene e che quindi ‘sparirebbero’ assieme alle librerie che oggi danno loro una qualche visibilità. Aggiungo che la libreria è ancora luogo di incontro e promozione della cultura, in special modo locale, con meccanismi che mai e poi mai potranno essere fatti propri dalle librerie Mondadori o Giunti. Si può decidere benissimo di rinunciare a tutto ciò, a patto però di aver ben compreso la complessità dello scenario, cosa che non si può dire di chi afferma che la legge Levi è tout court contro i lettori.
È una legge miope, che non risponde alle sfide dei nuovi mercati e delle nuove tecnologie? Non era quello l’ambizioso obiettivo. Convengo che è una legge minore, anche protezionistica, ma di un protezionismo intelligente (pratica auspicabile per uno Stato), complessivamente a favore di molti piccoli e a scapito di pochi grandi, in un momento di difficoltà economica per il comparto. Trovo sia insomma un buon segno che lo Stato intervenga a correggere una pratica commerciale che minava la ricchezza del panorama editoriale. I nuovi mercati e le nuove tecnologie sono altra cosa, sfida ben più impegnativa e comunque non schivabile; sfida che rimane aperta e andrà riflettuta, sia dalla politica sia da editori e librai, al di là degli effetti e del corto raggio (ma non miope) della legge Levi.
Non pretendo che queste riflessioni sparse possano esaurire il discorso, ma mi bastano per dire che il segnale è a mio avviso positivo. Non si tratta peraltro di un’iniziativa isolata: in Francia c’è un tetto agli sconti del 5%; in Spagna e Germania gli sconti mi pare non siano nemmeno previsti. La compagnia non è così malvagia. Per chi volesse approfondire, consiglio di entrare in contatto con i Mulini a Vento, un collettivo composto da diverse case editrice medie e piccole che opera per una nuova regolamentazione del mercato del libro e che ha già ipotizzato nuove iniziative per il prossimo futuro.
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