Ogni lettore esigente ha un libro al quale torna con emozione. Credo che la formula magica dipenda da diversi e imprevedibili ingredienti, però ve ne sono alcuni ricorrenti: una certa epoca dell’adolescenza; il mood del momento, in un corretto equilibrio fra delusioni e speranze; il libro giusto, non per forza eccezionale, ma in grado di far vibrare le corde vergini del nostro modo di pensare il mondo, del nostro guardare il futuro in quel preciso e irripetibile momento. Può accadere in primavera a cavalcioni del ramo di un albero, oppure durante una vacanza marina che lascia troppo libere le ore del dopo pranzo, oppure ancora dopo una pesca ignara dalla libreria in casa di nonna, nel tentativo di sfuggire ad una giornata uggiosa. Ognuno avrà la propria e a suo modo indimenticabile esperienza, e un libro verso il quale confessare un debito: l’aver fatto scoprire che leggere mette del sale nella vita.
Irresistibile è stato il richiamo di una piccola mostra ospitata lo scorso anno presso la Casa di Goethe a Roma. Era infatti dedicata allo scrittore che ha avuto il merito di instillare per primo la ‘magia’ nella mia personale esperienza di lettore. Michael Ende è un nome che oggi evoca poco in Italia, benché ancora notissimi siano i suoi romanzi, da La storia infinita a Momo, da La notte dei desideri a Le avventure di Jim Bottone. Eppure molto stretto fu il suo legame con il nostro paese, tanto da abitarvi per diversi anni e in conseguenza di una scelta non casuale. Nel 1973, dal giardino della sua casa di Genzano ai castelli romani, diceva: «L’Italia è ancora, sempre, il paese in Europa, dove arte, fantasia, poesia fanno parte delle cose elementari della vita e sono considerate importanti come bere e mangiare». Chissà se ora lo scrittore tedesco confermerebbe l’assunto. Questo mi chiedo visitando la mostra, con il tasca tutto il naturale feticismo che mi posso portare addosso nell’osservare gli oggetti, le foto e i manoscritti del ‘mio’ autore.
Improvvisamente scopro che leggere quelle righe curiosamente mi rincuora. Se Michael Ende non troppi anni fa, con il suo occhio acuto e straniero, vide questo nell’Italia, allora forse una radice buona ancora deve sopravvivere sotto la superficie piuttosto arida del presente. A quella radice bisognerebbe puntare, per farla riemergere e poi coltivare. Cambiare mentalità, ma appunto radicalmente, senza farsi irretire nella convinzione che l’unica alternativa possibile sia quella che ci viene posta sotto il naso ogni mattina. Ritornare a pensare che ci sono molteplici possibilità, che il futuro è aperto, con la stessa immaginifica fiducia con cui leggemmo quel nostro primo libro.
A guidare la rivoluzione io vedrei ovviamente Atreju, l’alter-ego di Bastiano Baldassarre Bucci, il protagonista della Storia infinita. È lui il mio eroe, uscito da Fantàsia per scuoterci e farci invertire la rotta sulla china che scende verso il Nulla. Lo è ancora di più da quando il suo nome campeggia sui manifesti di un evento annuale che rappresenta solo una parte del nostro paese, quella che dimostra d’avere meno a cuore l’esposizione – per non parlare dell’applicazione – di un certo ordine di valori. È tempo di edificare un ponte che ci riporti all’epoca d’oro in cui l’Italia era una specie di miraggio per Michael Ende, in cui fantasia e poesia erano cose elementari che guidavano le scelte importanti. È tempo che Atreju torni ad essere un eroe letterario e la politica non s’accontenti di raccontare favole.
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