martedì 30 novembre 2010

Aragosta al nero

Con i drastici tagli al comparto culturale, con la cancellazione delle tariffe postali agevolate, con la discussione in corso su una controversa legge sul prezzo del libro, l'editoria è ormai bollita? E' quello che viene scherzosamente da chiedersi osservando il logo della 9a Fiera nazionale della piccola e media editoria, che si svolgerà dal 4 all'8 dicembre, nella classica sede del Palazzo dei Congressi dell'Eur a Roma. Per saggiare il polso della situazione non c'è nulla di meglio che vagare fra gli stand delle realtà minori del mercato del libro, ultimamente molto più attive rispetto ai marchi blasonati, capaci di conquistarsi notevoli meriti sul campo grazie anche al passaparola di lettori esigenti, poco inclini a farsi suggestionare dalle sirene del marketing. Consiglio dunque una bella passeggiata, anche solo per indagare se l'editoria sta per fare la fine dell'aragosta.
Qualche giorno dopo, a partire da 7 dicembre, prenderà il via un'altra interessante manifestazione, il Courmayer Noir Infestival, che dà spazio alle varie declinazioni del genere, inclusa ovviamente la letteratura. In particolare è da tenere d'occhio la rassegna "Jardin de l'Ange", con varie presentazioni della migliore produzione noir degli ultimi mesi.
Nel panorama variegato e magmatico dell'e-book spicca la vetrina di book republic, libreria on-line indipendente che ha fin dall'inizio ha cercato il contatto con editori minori e libri di nicchia, offrendo oggi un ventaglio di circa cinquanta marchi. Per fare i primi esperimenti di acquisto e lettura di e-book, caldeggio la navigazione nel catalogo di book republic: l'offerta è variegata e il formato ePub consente la lettura sia su diversi book reader sia sul vostro computer.
Infine una segnalazione teatrale: dalla medesima fucina che ha prodotto ilVoltaPagine, viene l'idea per una piéce originale e dissacratoria, Pane e golpe di Marco Boccia, «un inusuale esempio di teatro civile, comico, antifascista‏. In scena un fatto storico - il tentato golpe Borghese del 7 dicembre 1970 - per non dimenticare e riflettere sulle mai sopite tentazioni autoritarie del Paese. Un capitolo tetro e torbido della storia d'Italia fedelmente restituito alla memoria attraverso il diaframma dell'ironia e del grottesco». Se volete sprofondarvi, le poltrone sono quelle del teatro Belli a Roma, nei giorni che segnano il quarantennale del golpe.

domenica 21 novembre 2010

A delimitare il pensiero

L’aforisma ha uno spazio bianco e silenzioso che lo circonda. Sarà per questo che oggi viene involontario sentirlo lontano, abituati come siamo a inseguire jingle, ad assorbire anonimi e ininterrotti sottofondi musicali, a subire valanghe di parole senza controllo. L’aforisma invece bisognerebbe lasciarlo respirare, fargli largo attorno avendo la pazienza di rimanere fermi al nostro posto; tutte cose di cui sembriamo sempre più incapaci. Eppure l’aforisma è vivo e vegeto, non è relegato in una soffitta, assume anzi forme contemporanee davvero interessanti da esplorare. Una delle poche, e dunque preziose, fonti di indagine è il blog Aforistica/mente, un laboratorio di letture e scritture aforistiche nato ad inizio 2010 e curato con notevole competenza e passione. Se ne sono accorti persino in Serbia, assegnandogli il premio “Il cerchio d’oro” in occasione del recente Satira Fest svoltosi a Belgrado. L’artefice di tutto questo è Fabrizio Caramagna che, partendo dal gusto per il dettaglio, si è specializzato nello studio di come sia possibile delimitare (aphorizein in greco) il pensiero, al fine di ampliarne gli orizzonti. C’è una sua bella foto nella testata del blog, una «veduta del mondo da una finestra di ghiaccio»; l’immagine è esattamente quella di un orizzonte vastissimo ritagliato in modo che l’occhio lo indaghi più a fondo. Uno dei trucchi, per così dire, è il seguente: «all’interno di una serie di variabili prevedibili, l’aforisma cerca una variante altamente improbabile». Sollecitati dalla definizione, abbiamo chiesto a Fabrizio Caramagna di effettuare una selezione che sia specchio di alcuni dei differenti modi di intendere quel particolare genere di scrittura.
* * * *
L’aforisma – che nella sua etimologia tutto “delimita” – sfugge a qualsiasi tipo di delimitazione, nonostante nel corso dei secoli ogni aforista abbia cercato di dare una sua particolare definizione di aforisma. Ogni tentativo di classificare l’aforisma mancherà di pertinenza. In un modo o nell'altro, poiché nel genere aforistico si sovrappongono centinaia di forme brevi differenti. Ne cito soltanto alcune come il proverbio, l’aneddotto, il saggio breve, il frammento filosofico, la nota diaristica, la definizione, il motto di spirito, la battuta, la sentenza, il teorema, il ritratto, il paradosso, l’haiku, ma l’elenco sarebbe lunghissimo. Gli stessi aforisti non hanno la totale consapevolezza di scrivere aforismi, tanto che nel definire la propria opera al posto del termine aforisma usano sovente denominazioni secondarie come note, annotazioni, schegge, frammenti, voci, greguerias, massime, riflessioni, trucioli, intermezzi, frasi, pensieri sparsi, miscellanee, linee, bazzeccole, disjecta membra, asterischi, caratteri, frantumi, metaforismi… (anche qui l’elenco sarebbe interminabile). Ecco a titolo di esempio sei forme differenti di aforismi (per ogni forma ho selezionato tre aforismi). E' evidente che queste forme sono solo un punto di partenza e non di arrivo all'interno di un genere così proteiforme e caleidoscopico.

La massima, La Rochefoucauld
Tutti abbiamo forza sufficiente per sopportare i mali altrui.
Per quanto bene dicano di noi, non ci insegnano niente di nuovo.
I vecchi amano dare buoni consigli per consolarsi di non poter più dare cattivi esempi.

L’aforisma poetico, Alda Merini
Sono molto irrequieta quando mi legano allo spazio.
Non cercare di prendere i poeti perché vi scapperanno tra le dita.
Ci sono adolescenze che si innescano a novant’anni.

La gregueria, Gomez De la Serna
Chitarra: donna con quattro fianchi.
Tuono: un baule rotola giù dalle scale del cielo.
Russare è sorbire rumorosamente la minestra dei sogni.

Le voci di Antonio Porchia (l’aforisma taoista)
Chi ha visto svuotarsi tutto, quasi sa di che cosa si riempie tutto.
Mi si apre una porta, entro e mi imbatto in cento porte chiuse.
Quando morirò, non mi vedrò morire, per la prima volta.

L’aforisma di guerra, gli aforisti serbi

Ha ricevuto una pallottola in fronte. Così iniziò la fuga dei cervelli (Milan Bestic).
Il nostro piano di pace è un segreto militare (Aleksandar Baljak).
C'è una luce in fondo al tunnel: sono le nostre case in fiamme (Aleksandar Cotric).

I pensieri spettinati, Stanislaw Lec
Aveva la coscienza pulita. Mai usata.
L'ottimismo e il pessimismo si distinguono solo per la data della fine del mondo.
Non raccontate i vostri sogni! Chi sa mai che i freudiani non prendano il potere!


Foto: Ghiaccio e finestre © Claudia Perilli

mercoledì 17 novembre 2010

La biblioteca di frodo

E' tempo di sospendere il credibile e mettersi ad inseguire storie di un passato che non è mai stato, di un futuro ignoto, temuto o vagheggiato, di terre così lontane nello spazio e nel tempo da non aver mai udito parola umana. Storie raccolte e commentate da Elena Piatti, nella biblioteca di frodo.

AAA Mondo cercasi
Il dardo e la rosaIl Dardo e la Rosa, di Jacqueline Carey, avrebbe potuto essere un bellissimo romanzo. Purtroppo, l'autrice ha scelto il genere fantasy. La Carey ha talento nel disegnare i personaggi, ai quali è facile affezionarsi. Tra i tanti, mi concedo l'unica menzione speciale per Alcuin, che in alcune pagine rischia di farsi preferire alla protagonista. L'autrice, inoltre, è in grado di creare intrighi che alimentano la suspense e in un altro contesto basterebbero a garantire che il lettore non lasci il libro prima di averlo terminato. Avrebbe potuto fare lo sforzo di adattare i particolari del suo intreccio ad una detereminata epoca storica, creando un ottimo romanzo storico; invece ha preferito scrivere un romanzo fantasy, ambientandolo in un mondo di sua creazione per evitare di dover curare la verosimiglianza storica. Almeno questa è la giustificazione apparente, alimentata – fra le altre cose – dal fatto che nel volume i tratti tipicamente fantasy potrebbero essere eliminati o sostituiti senza alterare la natura della trama. A libro terminato l'impressione è che l'autrice abbia realizzato meno di quel che poteva per mancanza della pazienza necessaria nella cura dei dettagli. E questo suo difetto ha rovinato l'opera al punto che dopo le prime trenta pagine si ha l'istinto di buttare via il libro – rischiando seriamente di perdersi tutto il resto.
Infatti il ‘mito fondatore’ della società descritta nel libro è un guazzabuglio di cui è purtroppo troppo facile isolare gli ingredienti. Una base abbondante di Dan Brown, unita ad un accenno di mitologia greca. Infine, per insaporire il tutto, una buona dose di erotismo, che lungo le pagine accentuerà sempre più  – ma senza trascendere ad eccessi – il proprio carattere sadomaso.
Un altro evidente difetto del volume non si lascia ahimé dimenticare una volta digerite – o dimenticate – le prime trenta pagine. La storia è ambientata in un mondo di propria creazione, ma  sin dalla mappa i dubbi in proposito assillano il lettore. È vero che è difficile inventare un universo senza ispirarsi a quello reale, ma qui si tratta di ricalco. Trovare nella cartina, e al posto giusto, Eire, Aragonia, la città chiamata «La Serenissima», rende difficile quell'estraniamento dalla realtà che un universo fantasy dovrebbe garantire. Sentir parlare nel testo di «continente europano» spinge chiunque di primo acchito (combinato con la cartina, per di più) a lamentarsi del refuso. Accorgersi che di refuso non si tratta e pensare che, probabilmente, nell'originale inglese l'impressione di refuso era ancora più forte (scommetto che il continente è europan anziché european), porta ad una sola conclusione. Jacqueline Carey sottovaluta i lettori di fantasy, considerandoli un pubblico non esigente. O, peggio, considera il fantasy un genere-discarica a cui non vale la pena sacrificare eccessiva cura. Ma non è sufficiente cambiare solo un paio di nomi e inserire qualche essere con poteri più o meno soprannaturali per scrivere un buon fantasy.
Un bel libro rovinato dalle trascuratezze dell'autrice, evidentemente priva della perizia che le avrebbe fatto meritare l'elogio di un giornale americano, riportato in copertina, che la assurge pomposamente «nell'empireo dei grandi autori fantasy», luogo in verità a lei inesorabilmente precluso.
(post di Elena Piatti)

Jacqueline Carey, Il dardo e la rosa, Milano, TEA, 2007

Le mie chiocciole: @

Da regalare: al compagno di banco che conosceva a memoria tutte le capitali del mondo.

domenica 14 novembre 2010

Come ci raccontano

Persino le classifiche costruite su dati 'concreti' risultano spesso opinabili, figuriamoci quelle basate su scelte del tutto soggettive. Nella serie delle cose da fare prima di morire, spicca un volume inglese che ho avuto recentemente l'occasione di sfogliare, e di cui esiste pure una traduzione italiana, non so se e quanto riadattata rispetto all'originale. Ad ogni modo è stato divertente fare il conto del chi c'era e del chi non c'era, e cercare di capire quale faccia della letteratura italiana veniva proposta al lettore straniero. 1001 Books You Must Read Before You Die (general editor Peter Boxall, London, Cassell, 2006) elenca appunto 1001 libri, dovuti alle penne di 560 autori – alcuni hanno infatti l'onore di più menzioni – dei quali diciannove, ossia il 3,4%, sono italiani (ho escluso dal conteggio i pochi autori classici che ebbero nello Stivale i loro natali). Ben inteso, fornisco il dato per pura curiosità statistica, inutile mettersi a disquisire se siano molti o pochi.
La parte del leone la fa senz'altro Italo Calvino, presente con cinque romanzi, due ritratti (il volume è ricco di illustrazioni) e citazioni sparse in schede altrui. Un buon rilievo ha anche Primo Levi, tributato in gran parte per il suo ruolo di emblema letterario della follia della Shoah, e non a caso Se questo è un uomo venne pubblicato negli Usa con il titolo Survival in Auschwitz. Alberto Moravia si difende potendo contare su tre dei suoi romanzi: Gli indifferenti, La disubbidienza, Il disprezzo. Manca Dante – evidentemente ormai ostico anche per lettori non saltuari – ma fra i nostri 'padri' sopravvive Alessandro Manzoni e i suoi Promessi sposi, anche se tutta la faccenda della lingua è frettolosamente tumulata sotto un «written in the Florentine dialect» (!). Nel presentare Luigi Pirandello (Uno, nessuno, centomila) il recensore ha scordato di ricordare il premio Nobel, ottenuto nel 1934, ed è un peccato visto che è l'unico citato  dei nostri sei connazionali che hanno ricevuto il riconoscimento dell'Accademia di Svezia. C'è persino un romanzo in lingua francese, l'Hebdomeros di Giorgio De Chirico, e la presenza del pittore in questa selezione è quella che più stupisce, ma la mancanza sembra nostra: «a largely overlooked masterpiece». Gli autori viventi sono quattro e fra loro l'unica donna del gruppo: per Alessandro Baricco la scelta è caduta su Seta, e francamente si poteva fare di meglio; Umberto Eco, oltre all'ovvio Nome della rosa, mette nel carniere Il pendolo di Foucault; chiudono la rassegna Margaret Mazzantini (Non ti muovere) e Antonio Tabucchi (Sostiene Pereira).
Alla fine va bene considerarlo una specie di gioco, neppure troppo facile da gestire, e quindi arrovellarsi sulle scelte lascia forse il tempo che trova, tuttavia so che non potrete farne a meno. Allora questo è l'elenco completo, a voi i commenti: Alessandro Baricco, Giorgio Bassani, Dino Buzzati, Italo Calvino, Giorgio De Chirico, Umberto Eco, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Carlo Levi, Primo Levi, Alessandro Manzoni, Margaret Mazzantini, Alberto Moravia, Pier Paolo Pasolini, Cesare Pavese, Luigi Pirandello, Italo Svevo, Antonio Tabucchi, Giovanni Verga, Elio Vittorini.

sabato 6 novembre 2010

Corpi appena tiepidi

 Ritorno dall'IndiaL'India è una frontiera dell'anima. È un'esperienza che può rovesciare i pensieri come calzini e lasciarci basiti a fissare le scorrere delle acque sacre. Mentre molti luoghi nel mondo tendono ad assomigliarsi sempre più, l'India rimane unica e differente; sebbene preda dell'attuale ansia di modernità, essa non abbandona il suo vestiario antico, affascina ancora con profumi la cui ricetta è smarrita. È un uomo di scienza, un medico, Benji Rubin, e giunge in India con uno zaino zeppo di sieri e attrezzature professionali. Gli manca però un vaccino contro l'ammaliazione: non offre resistenza al contagio di Nuova Delhi, Benares, Gaya; tutto lo incanta, di continuo insegue la vista dei fiumi, delle acque sulle quali si accendono le pire per corpi appena tiepidi. Il viaggio in questo altrove innesca una reazione imprevedibile nell'animo di Rubin, un esito del tutto inatteso che arriva come lo schiaffo di una mano amica.
L'efficienza israeliana si realizza in un racconto continuo di fatti concreti: preoccupazioni professionali, procedure chirurgiche, pratiche di anestetizzazione. Così lo stile: preciso e didascalico, ma paradossale nel momento in cui narra di un puro viaggio dell'anima, l'anima di Rubin, stranita, preda di sentimenti a volte inspiegabili, sempre ingovernabili, comunque accettati con un fatalismo pacato, inconfondibile eredità indiana.
Il romanzo rifugge volutamente ogni sorta di climax, ogni svolta ad effetto. Ha solamente due scarti repentini, resi tali proprio dall'assenza di qualsiasi preparazione: nel far pronunciare il nome dell'amata alla fine della parte prima, e portando in scena la confessione di Rubin alla moglie Michaela, Yehoshua scuote il lettore senza preavviso, con un esito che compensa una narrazione a tratti fin troppo involuta, paludosa. La sua arte di denso affabulatore è evidente, ma si trova qui fra le mani una storia non abbastanza ricca per riuscire a sostenere tante oscillazioni, tanti movimenti e ripensamenti.
Il viaggio in India segnerà tutti, interrerà semi dal lento germoglio, ma capaci di espandere radici che rivoltano il giardino. Benché nessuno sembrerà accorgersene, le loro vite non saranno più le stesse, come se a modificarle fosse intervenuta una trama ombrosa, celata dietro all'amore e intessuta da mani invisibili.

Abraham B. Yehoshua, Ritorno dall'India, Torino, Einaudi, 1999.

Le mie chiocciole: @@

Da regalare: al vostro anestesista di fiducia