Il ristorante cinese è un luogo ambiguo. Si teme sempre di finire per ingoiare qualcosa di disgustoso o di esiziale per lo stomaco, però nel contempo il mistero agrodolce attrae, il sapore diverso non può che intrigare ed è quasi divertente pensare si tratti di una prova di coraggio sedersi su quel rosso laccato e aspettare di mangiare qualsiasi cosa improvvisamente navighi nel piatto. A leggere Dolce miele, decomposta, si scopre che il legame con quel luogo può diventare ossessione al punto di non distinguere più l’intossicazione dall’amore, e viceversa. L’unica via è lasciarsi sopraffare. Come accadrà al poliziotto all’altro capo del libro, impantanato in una situazione scomoda, combattuto fra dovere e piacere, immobile di fronte ad una finestra aperta sulla palude nella quale anche lui, prima o poi, affonderà.
Due piccoli gialli – in tutto “20 minuti” di lettura – dallo stile inquieto: scene montate con rapidi fotogrammi e con frasi smozzicate, una trama che si compone per progressivo affastellamento, con evidenti sbirciate al grande schermo. Storie lampo che vanno in dissolvenza verso un ricordo lontano e verso il mondo degli spiriti, a stemperare le crudezze di efferati assassini. Due uomini finiranno vittime degli incantamenti, perché incapaci di cogliere il confine fra reale e irreale. Due donne li condurranno oltre, in virtù della naturale e femminile attitudine per le sfumature. Anche Paola Ducci la possiede e lo si capisce da come lascia sospese le storie, fa sussurrare i finali, perché in fondo poco conta quello che accade, conta piuttosto come accade.
Paola Ducci, Il crudele si vende bene, Roma, Il caso e il vento, 2008.
Le mie chiocciole: @@
Da regalare: a chi trova indigesti gli involtini primavera