
La fantascienza implica paradossi nuovi, situazioni ignote alle coordinate del nostro vivere quotidiano, e deve aprirsi per forza a prospettive inattese, basate su una sorta di geometria non-euclidea del raccontare. Chi non ne asseconda il naturale impulso, finisce per fare della fantascienza un uso maldestro e poco pregnante. Per scendere nel concreto, il pilota di una navicella spaziale non può assomigliare troppo ad un autista di tir sulla Salerno-Battipaglia, perché a quel punto tanto valeva rimanere sulla terra. Ecco il maggior peccato di questa raccolta di sette racconti: aver portato lontano – nello spazio, nel tempo o in entrambe le direzioni – delle storie pensando che ciò bastasse a dotarle di maggiore senso, di effettiva sostanza. Diceva Orazio che se corriamo al di là del mare, cambiamo cielo, non animo; lo stesso vale per le nostre storie.
Alle sett’albe non avrebbe nessun bisogno di essere ambientato su una stazione orbitante, anzi quella sorta di medico della mutua che è il protagonista sarebbe apparso molto più vero se avesse aperto lo studio in un piccolo paese di provincia. E Qualcuno dovrà è un dialogo fra nonno e nipote senza una reale consistenza, difetto non superabile solo per il fatto che i due vivono su Marte. In Atteone la situazione è abbastanza classica: un luogo poco abitato, sperduto nello spazio, improvvisamente smette di inviare segnali e un poveretto pieno di problemi e mezzo emarginato viene spedito ad indagare, con l'ovvia conclusione di un imprevisto scontro con l'alieno di turno. Alla fine della giostra (p. 48) salta fuori un po' a sorpresa una morale: «Pensava [...] all'enormità del cosmo e alla piccolezza angusta della limitata mente umana. Tutto cambia, tutto si trasforma e nulla rimane uguale a se stesso. Troppe forme di vita, troppe incognite». Ci voleva una chiusa così densa di senso, ma in base a quali ragionamenti si sia arrivati a tale riflessione è un altro mistero, si tratta di una morale tanto solenne quanto ingiustificata dagli eventi, da lasciar perplesso anche il buon Eraclito.
Insomma affondare radici in terre narrativamente friabili conduce a passi falsi: anacronismi (il navigatore spaziale che usa mappe cartacee e traccia le rotte a penna), innesti forzati (vedi le parti fantasy in Involontaria consegna), imprecisioni terminologiche (alle pp. 57-58 si legge che «l’Apollo numero 11 fu la prima astronave in grado di atterrare su un pianeta diverso dalla Terra», peccato che la luna non sia un pianeta). Lo spazio offre grandi silenzi, bisognerebbe approfittarne di più.
Fabio Centamore, Alle sett'albe, Roma, Ducas, 2009.
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Da regalare: al patito di b-movies post-atomici