L’acquasanta e lo sperma sono liquidi salvifici per l’umanità: la prima, marmorea e cristallina, la preserva dalla dannazione; il secondo, appassionato e vischioso, le assicura un domani. Tuttavia, pur stando idealmente dalla stessa parte, i due liquidi rappresentano perfettamente la lotta incessante e inevitabile che nell’essere umano contrappone il lato evoluto, costituito da sovrastrutture complesse di fede e pensiero, e il lato primordiale, che è istinto puro sottratto ad ogni razionalità. Negli Esercizi materiali di Domenico Loddo lo scontro è epico ed epocale, e l’autore ci forza a scegliere per chi parteggiare, tifando peraltro in modo spudorato per l'impulso vitale intrattenibile che non conosce limiti (non può farlo: l'alternativa sarebbe la morte), e suggerendo di non sottoporsi ad insegnamenti e regole sentiti quasi sempre come imposizioni cupe e oscurantiste. Pare proprio che la Chiesa abbia inflitto all’autore delle offese mortali, per reagire alle quali egli non possa far altro che venirle in faccia. L'antagonista, si badi bene, è proprio la Chiesa, e non Gesù di Nazareth, figura che si intuisce invece ammirata, né Dio, a cui al contrario Loddo vuole «un gran bene, anche se so che un giorno io sarò la sua vittima sacrificale e lui il mio feroce assassino» (p. 19).
Nella bagarre si confrontano morte, rabbia, violenza, mescolate una all’altra con leggerezza disarmante, con un’ironia beffarda che non risparmia niente e nessuno, nemmeno lo stesso autore. Ecco il grande vantaggio di Loddo: non si prende sul serio, deride le sue storie più tragiche, e ciò gli dona una grande libertà, gli consente di dare sfogo ad ogni intuizione, ad ogni pensiero imprevisto, correndo così il rischio – e a volte pagandone le conseguenze – di un passo più lungo della gamba. La disomogeneità di questa raccolta di racconti brevi, brevissimi, alterna garbate piccole perle (Il custode dei venti) a superflui virtuosismi (La parola innamorata), a storie inconsistenti (L’innocenza). Un libro schizofrenico, con lampi di genio, da cui si sarebbe potuto scartare qualcosa o si sarebbe potuto attendere per aggiungere dell’altro.
L’afflato di fondo è quello di una ricerca simil-filosofica, che trova i suoi punti di svolta nei personaggi femminili: donne senza via di mezzo, materne puttane e mogli tiranniche, sempre eccessive, a partire dalle rotondità di seni e cosce. In esse ritorna il cinico gioco del dare e del togliere la vita. Alla fine rimangono delle urgenze teleologiche verso le quali ogni risposta appare deficitaria e che producono un costante aumento del senso di solitudine interiore. Fino al punto di dire Ho perso la testa (ma sto bene anche senza). E non è un caso se sia di Domenico Loddo uno degli aforismi più intensi e amari sul senso del nostro essere: «Non si viene nella vita per guadagnare qualcosa, ma solo per smarrire tutto poco a poco».
Domenico Loddo, Esercizi materiali. Letture per sale da tè, d'attesa e da bagno, Ravagnese (RC), Città del Sole, 2007.
Le mie chiocciole: @@
Da regalare: all’ex insegnante di catechismo
Nessun commento:
Posta un commento