La politica italiana offre spesso spettacoli desolanti relativamente all’uso delle parole: affermazioni approssimative e fuorvianti, frasi azzannate dall’ovvietà e dal vacuo, sentenze esemplari che alla resa dei conti si contraddicono da sole. Pensare che la politica dovrebbe essere il sancta sanctorum delle parole, il luogo dedicato all’arte oratoria, l’ambito in cui discorso e racconto dovrebbero assumersi il compito fondamentale di dare una forma comprensibile al presente e di tratteggiare un’immagine del futuro, permettendoci così di comprendere chi siamo oggi e quali possibilità vengono offerte al nostro domani.
Grande attenzione ha attirato su di sé Debora Serracchiani alla recente assemblea dei circoli del PD, con un intervento che, nella sua sostanza e per candida ammissione della stessa Serracchiani, non era nulla di memorabile. Diceva tutte cose poco più che ovvie e con grande semplicità, senza una particolare vis retorica. Però le diceva, evidentemente differenziandosi da molti altri colleghi di partito abituati a rigirare le parole senza dare loro il giusto posto e il giusto peso. Sull’altro fronte Silvio Berlusconi – personalità spesso in aperto conflitto con le parole, sue e degli altri – ha oramai istituzionalizzato la pratica dello smentire, che altro non è se non una versione aggiornata del classico “sasso lanciato, mano nascosta”. Ma lo stillicidio di fraintendimenti al quale il Cavaliere pare condannato si realizza nella sostanza tramite una costante imprecisione nell’uso delle parole (voluta o involontaria? Questa è un’altra faccenda).
Parole povere da un lato, parole imperfette dall’altro, mentre sempre più pressante si fa la convinzione di quanto sarebbe bello se la politica sapesse illuminare i discorsi e le pagine come fa una tenda scostata d’improvviso in un giorno d’estate; di quanto sarebbe giusto tacere quando non si ha nulla di vero da dire, tacere piuttosto che parlare solo per intorbidire le acque. Sarebbe tempo di prendere la responsabilità sia di ciò che si dice, sia di ciò che non si dice; sarebbe tempo di considerare che orecchie abituate a parole inconcludenti alla lunga divengono sorde, e orecchie colpite da parole improvvide, spesso non si curano di cogliere le successive smentite. La colpa è grave poiché – oltre a svelare una mancanza di rispetto per la parola, il primo strumento della politica – dimostra una colpevole ignoranza del potere che le parole possono avere sulle persone. Chi ha un ruolo istituzionale, nel momento in cui fa una dichiarazione o pubblica un testo, non dovrebbe mai scordare quanto diceva Paolo Sarpi: «La materia dei libri par cosa di poco momento perché tutta di parole; ma da quelle parole vengono le opinioni del mondo, che causano le parzialità, le sedizioni e finalmente le guerre. Sono parole sì, ma che in conseguenza tirano seco eserciti armati».
Da lettore esigente mi viene naturale chiedere che le parole siano usate “bene”, ma non si tratta solamente dello sfizio di un pignolo, in gioco ci sono questioni ben più importanti. Se iniziamo a confondere le parole, finiremo per confondere i fatti, e alla resa dei conti il bene e il male saranno la stessa cosa. Peggio per voi se sarete dalla parte sbagliata.
Foto: Truppe italiane sotto la cattedrale di Asmara nel 1935 © Sauro911
1 commento:
Tutto perfettamento detto, perfettamente vero.
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