Ci sono ingranaggi immensi sopra le nostre teste, ruote dentate grandi come Stati che stridono e stritolano, evidentemente manovrate da entità superiori, sfuggenti, intoccabili, contro le quali nulla è possibile. Eppure - a rifletterci siamo costretti ad ammetterlo - eppure quando fanno affondare una nave carica di rifiuti tossici, persino queste entità così potenti hanno bisogno dell’aiuto di tanti minimi esecutori, di singoli uomini che diano una piccola spinta all’ingranaggio. Allora è facile immaginare un portuale a La Spezia che osserva caricare la stiva, un impiegato della dogana che firma delicate autorizzazioni, un trasportatore che non si fa troppe domande, un marconista che finge di non capire certi messaggi, un capitano già pronto a lanciare l’SOS per una nave ancora attraccata, un armatore che quella nave non la sente più sua... Ognuno contribuisce con una piccola spinta, e la somma di esse costringe lo scafo mugghiante sott’acqua. O almeno così loro vorrebbero. Ma la nave si oppone, lotta disperata per non affondare, si appella ad una qualche legge d’Archimede e alla fine ce la fa, si spiaggia sulla costa calabrese come una balena morente.
Quello scafo inclinato nella sabbia solleva molte domande e a raccoglierle è pronto un altro uomo, ignaro della dannata matassa in cui si sta per infilare. Lucarelli ama seguire le orme di uomini travolti da vicende torbide e sempre troppo grandi per due sole spalle. Stavolta tocca al capitano di corvetta Natale De Grazia. Per raccontare la sua storia, purtroppo, non serve inventare nulla, bastano ritagli di giornale ed estratti da documenti ufficiali, basta mettere in fila i "fatti". Ciascuna frase potrebbe essere l’ultima, conchiusa e in sé innocua, sotto la penna di Lucarelli, ma la catena degli eventi viene di continuo riaperta, basta un dubbio, un avverbio, e tutto si rimette in discussione. È il modo caratteristico di rappresentare un mondo criminale fluido, sfuggente a qualsiasi tentativo di ingabbiamento. Per non smarrirsi meglio rimanere ai fatti, appunto, fatti nudi e crudi, ma affiancati uno all’altro con accortezza, sollevando così un nugolo di sospetti. Lucarelli non punta il dito, non accusa apertamente nessuno, ma lascia al lettore gli elementi necessari per poterlo fare. Dà tutti gli indizi senza svelare il mistero: quando si passa dalla fiction alla cronaca, si diventa giallisti al contrario.
Il capitano di corvetta Natale De Grazia è l’uomo che cerca. Colui che non si accontenta delle verità preconfezionate, che non sa far tacere la propria coscienza, che ascolta le domande della nave e per avere delle risposte ci gioca sopra tutta la sua vita. In questo racconto di “fatti” altri nomi noti vengono a galla, come quello di Ilaria Alpi, e con essi la memoria di vicende tristi non ancora chiarite. Navi a perdere non si cura di dare un quadro chiaro e completo, non ha tutte le risposte da calare come un poker alla pagina finale, semplicemente ci ricorda la necessità di tenere viva l’attenzione civile perché «gli uomini che cercano, finché continuiamo a farci le loro domande, non muoiono mai» (p. 102).
Carlo Lucarelli, Navi a perdere, Milano, Edizioni Ambiente, 2008, pp. 124.
Le mie chiocciole: @@
Da regalare: a chi per pigrizia si oppone alla raccolta differenziata
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