Gli anziani sono protetti da una scorza, indurita dal tempo, contro la quale le domande rimbalzano deviate lontano. Verrebbe da insistere, perché si sa che dietro la pelle rugosa c’è una vita lunga, ci sono personaggi, ci sono storie; ma a volte è davvero difficile aprire una breccia in quella scorza. Il silenzio dei vecchi oppone una strenua resistenza, per ritrosia, per stanchezza, o per il conquistato gusto del tacere. Bisogna essere spinti dalla più impellente curiosità per arrivare a conoscere i sogni lontani di una donna nel declino, ancora aggraziata da una bellezza antica, che passa i giorni perdendo lo sguardo sul mare di Ostenda.
La narrazione piana e senza scossoni di Schmitt ci conduce a conoscere il cuore nascosto di Emma Van A., le sue emozioni non sopite oltre l’involucro della vecchiaia, il suo erotismo vivace, ancora malizioso, eppur sempre garbato. Diversamente da quanto accade in Mal di pietre di Milena Agus, dove le parentesi di inattesa sessualità risultano quasi sempre dissonanti, forzate in un tono complessivo che mal le sopporta. Il parallelo ha un senso, poiché La sognatrice di Ostenda è un racconto che condivide varie affinità con Mal di pietre, si potrebbe anzi dire raccontino nella sostanza la medesima storia. Un uomo del passato, ricordi frammentati come puzzle, indizi lasciati da una donna anziana che fino alla fine non si comprende se stia ingannando gli altri o sé stessa. Senza voler andare a caccia di plagi (non è questo l’intento) può essere interessante osservare come il punto di vista e lo stile possano prendere una stessa trama e farne due libri molto diversi.
La letteratura si basa sulla menzogna, ammette Schmitt (p. 75), «i racconti che non si nutrono di realtà ma di fantasticherie, di scene auspicate, di desideri abortiti, di brame ripetute mi danno molto di più che i fatti veri». La menzogna e l’amore che vanno a braccetto, giocano a rimpiattino fra loro, si inseguono, si prendono, si annullano una nell’altro. Nel buio di un cinema, smarrito a Revolutionary road, ho sentito dire che in amore, col tempo, si impara solo a mentire meglio. Tutta questa amara consapevolezza non vince con la sognatrice di Ostenda, non c’è nessuna dissoluzione pessimistica, la bugia non affoga l’amore, serve piuttosto a preservarlo dal male del mondo: nel buio che sale, una piccola luce rimane sempre accesa.
Di tali piccole luci parlano i cinque racconti che compongono il libro: di un amore per la gran parte solo sognato, ma tenace oltre la morte; di un amore così bello da non poter durare; di un amore nato per sacrificarsi alla vita... Di fronte alla fiducia incondizionata concessa da Schmitt all’amore, alla fine siamo persino disposti a lasciarci convincere che non bisogna essere gelosi, «perché ogni relazione è unica e irripetibile» (p. 153), e gli perdoniamo lo scarso spessore dell’ultimo racconto (La donna con il bouquet), se non altro perché, in quell’attesa oltre ogni ragionevolezza, riconosciamo la comune e inevitabile sudditanza alla sublimità dell’amore.
Eric-Emmanuel Schmitt, La sognatrice di Ostenda, Roma, e/o, 2008, pp. 208.
Le mie chiocciole: @@@
Da regalare: al disincantato avvocato divorzista
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