Le pagine di De Luca si potrebbero misurare con il calibro. Persino i margini e gli a-capo paiono collocati sulla carta con l’ausilio del filo a piombo. Vengono alla mente tutte le metafore di un lavoro d’artigiano paziente, che conosce l’importanza di ogni gesto al fine d’arrivare all’opera compiuta. «Le parole sono pietre» diceva Carlo Levi, qui più che mai, perché le parole hanno peso, sono entità fisiche concrete, malleabili ma non troppo. Sono parole che hanno alle spalle una storia, una sapienza quasi biblica, e parlando di De Luca, del suo rapporto con i testi sacri, il riferimento è fin troppo facile.
Tuttavia non vi è mai pesantezza, piuttosto densità. Gli sguardi dal “pianoterra” si fermano spesso su eventi minimi, che all’occhio comune senz’altro sfuggirebbero, mentre in Pianoterra scintillano di senso e sollevano problemi universali. L’ansia di comunicare quanto conti avere una coscienza vigile, che non si lasci addormentare, che onori (dall’ebraico, dare peso) l’uomo e la vita. Pensieri, ricordi, piccole storie, disposti uno dopo l’altro senza un preciso ordine, come semi lasciati cadere nella scia dell’aratro. Qualcosa nascerà.
La speranza si azzera però, almeno in un punto (p. 44), parlando dei giovani che «docili (...) accettano, (...) nuotano in superficie e a vista della costa, indifferenti ai fondali, all’abisso che regge in controspinta la loro leggerezza». Meglio non avrei saputo dire, eppure mi intristisce incocciare nella credenza diffusa di generazioni sterili a confronto di altre; è una convinzione che da sempre mi lascia almeno dubbioso.
Inutile cercare trame, dire di cosa si parla, il succo è puro stile, scolpito nella pietra, descrizioni pungenti sino al nocciolo, ignare di qualunque fronzolo, a volte acide, a volte taglienti. Se è uno scrittore che non conoscete, probabilmente questo non è il libro ideale per avvicinare Erri De Luca; romanzi come Tre cavalli o Tu, mio farebbero meglio al caso. Queste sono invece pagine da leggere nel modo in cui si incontra un vecchio amico, condividendo del pane e una bottiglia di vino. Allora cosa ci si racconta non ha molta importanza: è il modo di raccontare che ci fa piacere ritrovare.
Erri De Luca, Pianoterra, Roma, Nottetempo, 2008, pp. 104.
Le mie chiocciole: @@@
Da regalare: al volontario impegnato in zone di guerra
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