L’ucronìa è un tempo che non c’è. Tipo quando si gioca “ma cosa sarebbe successo se...”. Se avete visto Sliding doors, avete capito cosa intendo. Ma qui il gioco è tutt’altro che semplice e molto delicato (soprattutto considerando che il romanzo uscì nel 1962), si tratta infatti di arrovellarsi a pensare come sarebbe il mondo se la Seconda Guerra Mondiale l’avessero vinta la Germania e il Giappone. Mica male come sfida per chi s’azzarda a sovvertire la rigida regola secondo cui la storia non si fa con i “se”, stabilendo fra l’altro che il mondo che si para davanti – tratteggiato quasi sempre in maniera indiretta, alle spalle della trama – non è per nulla manicheo. È un mondo strano, ambiguamente altro rispetto al nostro, eppure probabile. È un’esperienza da fare questo The Man in the High Castle, anche solo per provare a chiedersi dove stanno i buoni, e per i continui giochi di specchi fra finzione e realtà storica, apprezzabili ancor meglio se si legge – alla fine – l’introduzione di Carlo Pagetti. Non manca qualche forzatura: quella sorta di disumana freddezza fra i personaggi che nonostante tutto mal s’addice al nostro pianeta; tuttavia non ci si può aspettare molto altro da un mondo totalmente sovvertito (come in fondo è anche il nostro, nonostante la vittoria degli Alleati).
Philip K. Dick, La svastica sul sole, Roma, Fanucci, 2005, pp. 336.
Le mie chiocciole: @@
Da regalare: al professore di storia, giustificando così la vostra ultima interrogazione
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