Forse per colpa di Walt Disney, ho l’impressione che Archimede sia un pensatore a cui oggi non sono comunemente riconosciuti gli effettivi meriti. Di solito lo si immagina mentre parla con una lampadina e collauda un raddrizza-banane fotovoltaico, o tutt’al più nell’atto di saltare fuori dalla vasca e correre per strada in abito adamitico gridando: «Ho trovato! Ho trovato!». Sarà anche perché a scuola non c’è nessun teorema di Archimede da mandare a memoria, fatto sta che a Pitagora e Talete si guarda con gran rispetto, mentre sul nostro quasi quasi ci si ride su. Ma il siracusano era uno che sapeva il fatto suo e ha segnato importanti tappe nel cammino della scienza. Forse sapere di dovere a lui la scoperta del pi greco non provoca un moto di simpatia, ma del suddetto numero ripieno di decimali l’utilità è universalmente riconosciuta. Va altresì detto che – molto prima che gli inglesi (a detta loro) inventassero il calcio – Archimede aveva già previsto il pallone dandogli il comodissimo e grecissimo nome di icosaedro troncato. E poi ovviamente l’eureka che svela il trucco del falsario e il concetto di peso specifico; la leva; gli specchi ustori; la catapulta; e tanti altri simpatici aggeggi che, sotto diverse fogge, fanno parte della vita di tutti i giorni. Il racconto arguto della vita di un genio che esalò l’ultimo respiro nel 212 a.C., colpito a morte da un soldato romano irritato per essere stato così apostrofato: «noli turbare circulos meos». Non poteva sapere che quel tale immerso nell’osservazione di alcuni disegni nella sabbia era il grande Archimede.
Mario Geymonat, Il grande Archimede, Roma, Sandro Teti, 2006, pp. 138.
Le mie chiocciole: @@
Da regalare: a chi legge solamente i numeri sulla calcolatrice
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