Di certe bambine, orgogliose e intelligenti, bisogna avere paura e rispetto. Hanno in canna certe risposte da lasciarti secco, e nel contempo basta un alito di vento per incrinare la fragilità della loro giovinezza. Così è Paloma, giovinetta dell’alta borghesia francese, che scrive e riflette in un diario trasudante metafisica ed esistenzialismo. Più in basso, al piano terra, c’è la portinaia Renée, ma anche lei non scherza quanto ad elucubrazioni mentali. A volte – soprattutto nella prima parte del romanzo, più lenta ed errabonda – pare di stare nel Mondo di Sofia, con parentesi concettuali di un certo qual peso, come quando si disquisisce su un tavolo: ogni tavolo è irrimediabilmente un singolo irripetibile o esiste un concetto universale di tavolo? È il cruccio di Guglielmo di Occam, ma pure della nostra portinaia. Che poi una donna di una certa età, con una buona dose di tempo libero alle spalle, si sia pian piano trasformata in una pensatrice autodidatta e clandestina, non sconcerta. Piuttosto lascia perplessi constatare il livello di riflessione filosofica di Paloma che, a soli dodici anni, ci convince, eccome!, che «gli uomini vivono in un mondo in cui sono i deboli a comandare» (p. 49).
Entrambi i personaggi hanno un po’ troppa coscienza della propria condizione, dei propri limiti, per non scorgere dietro di loro l’autrice che racconta e suggerisce i pensieri. Il gioco forse è proprio questo: Muriel Barbery si serve di una storia e di due donne per farci cadere fra le mani le sue meditazioni, non di rado pregnanti («giacché l’Arte è la vita, ma su un altro ritmo», p. 148), altre volte dotte, quasi saccenti («La grammatica è una via d’accesso alla bellezza», p. 152). L’effetto funziona meno con la piccola Paloma che nella storia ha un ruolo sostanzialmente marginale: è Renée che muove tutti i fili, che scuote le vite (compresa la sua) fino ad immolarsi per cercare la bellezza nel mondo.
Se siete lettori pazienti, a cui piace un certo lento autocompiacimento della scrittura e le divagazioni colte, non sarete delusi e perdonerete il fatto che quest’ultime alla storia non sempre servano. Quando la vicenda prenderà il ritmo, non avrete più modo di allontanarvi e nell’inseguire l’ascesa della portinaia fino ai piani alti, proverete voi stessi un’interiore soddisfazione.
C’è molto Oriente nel libro. Non è un caso se è il giapponese Ozu ad apprezzare e scoprire prima e meglio di tutti il tesoro nascosto in Renée. D’altronde il gusto per certi piaceri sublimi richiede un approccio che l’Occidente fatica a comprendere, ma nel momento in cui lo fa proprio, capisce che «la camelia sul muschio del tempio, il violetto dei monti di Kyoto, una tazza di porcellana blu, questo dischiudersi della bellezza pura nel cuore delle passioni effimere non è ciò a cui aspiriamo tutti?» (p. 94).
Se siete lettori pazienti, a cui piace un certo lento autocompiacimento della scrittura e le divagazioni colte, non sarete delusi e perdonerete il fatto che quest’ultime alla storia non sempre servano. Quando la vicenda prenderà il ritmo, non avrete più modo di allontanarvi e nell’inseguire l’ascesa della portinaia fino ai piani alti, proverete voi stessi un’interiore soddisfazione.
C’è molto Oriente nel libro. Non è un caso se è il giapponese Ozu ad apprezzare e scoprire prima e meglio di tutti il tesoro nascosto in Renée. D’altronde il gusto per certi piaceri sublimi richiede un approccio che l’Occidente fatica a comprendere, ma nel momento in cui lo fa proprio, capisce che «la camelia sul muschio del tempio, il violetto dei monti di Kyoto, una tazza di porcellana blu, questo dischiudersi della bellezza pura nel cuore delle passioni effimere non è ciò a cui aspiriamo tutti?» (p. 94).
Muriel Barbery, L’eleganza del riccio, Roma, e/o, 2007, pp. 326.
Le mie chiocciole: @@@
Da regalare: alla signora della buona società che arriccia il naso quando guarda in basso